skip to Main Content

Profumo Leonardo Colombia D'alema

Leonardo, ecco perché D’Alema e Profumo indagati per il Colombiagate

La Procura di Napoli ha disposto le perquisizioni nei confronti di Massimo D’Alema e Alessandro Profumo (ex numero uno di Leonardo) nel corso dell’indagine sulla compravendita di armi dalla Colombia. Indagato anche l’ex direttore generale di Fincantieri Giuseppe Giordo. Tutti i dettagli La Procura di Napoli sta indagando su Massimo D’Alema e Alessandro Profumo per…

La Procura di Napoli sta indagando su Massimo D’Alema e Alessandro Profumo per il Colombiagate.

Ovvero il caso emerso l’anno scorso che vede protagonista l’ex premier D’Alema in qualità di mediatore nella vendita (non conclusa) da 4 miliardi di euro di mezzi militari alla Colombia da parte di Fincantieri e Leonardo, con 80 milioni di euro di possibili provvigioni per i mediatori.

Su disposizione della Procura di Napoli, la Digos partenopea sta effettuando una serie di perquisizioni nelle abitazioni e negli uffici romani di Alessandro Profumo (in qualità di amministratore delegato di Leonardo all’epoca dei fatti contestati che risalgono a una data prossima al 27 gennaio 2022), dell’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema, di Giuseppe Giordo, ex direttore del settore Navi di Fincantieri e di Gherardo Gardo, nella veste di contabile di D’Alema. Il decreto di perquisizione nei confronti dei quattro indagati è stato emesso nell’ambito delle indagini che la Procura di Napoli sta effettuando sulla compravendita di navi e aerei alla Colombia.

Il decreto di perquisizione nei confronti dei quattro indagati è stato emesso nell’ambito delle indagini dell’ufficio inquirente partenopeo sulla compravendita di navi e aerei alla Colombia.

Oltre ai quattro, sono indagati anche Umberto Claudio Bonavita, Francesco Amato, Emanuele Caruso e Giancarlo Mazzotta.

L’ipotesi di reato per tutti e gli otto indagati è corruzione internazionale aggravata. La forma aggravata viene contestata gli indagati in quanto il reato sarebbe stato commesso con l’ausilio di un gruppo criminale organizzato attivo in diversi Stati, tra cui Italia, Usa, Colombia e anche in altri.

Tutti i dettagli.

LE INDAGINI DEI MAGISTRATI PARTENOPEI

Secondo i pm, “i soggetti indagati si sono a vario titolo adoperati quali promotori dell’iniziativa economica commerciale di vendita al governo della Colombia di prodotti di aziende italiane a partecipazione pubblica – Leonardo, in particolare aerei M 346, e Fincantieri, in particolare Corvette e piccoli sommergibili e allestimento di cantieri navali – al fine di ottenere da parte delle autorità colombiane la conclusione degli accordi formali e definitivi aventi a oggetto le descritte forniture e il cui complessivo valore economico ammontava a oltre 4 miliardi di euro”.

Nella ricostruzione della Procura, Francesco Amato ed Emanuele Caruso avrebbero operato “quali consulenti per la cooperazione internazionale del ministero degli Esteri della Colombia tramite Giancarlo Mazzotta e riuscivano ad avere contatti con Massimo D’Alema il quale, per il curriculum di incarichi anche di rilievo internazionale rivestiti nel tempo, si poneva quale mediatore informale nei rapporti con i vertici delle società italiane, ossia Alessandro Profumo quale amministratore delegato di Leonardo e Giuseppe Giordo quale direttore generale della divisione navi militari di Fincantieri”.

“Tale operazione — proseguono i pm di Napoli — era volta a favorire e ottenere da parte delle autorità colombiane la conclusione di accordi per un valore complessivo di oltre 4 miliardi di euro.  Per ottenere ciò offrivano e promettevano ad altre persone il corrispettivo illecito di 40 milioni di euro corrispondenti al 50% della complessiva provvigione di 80 milioni di euro”.

L’INCHIESTA APERTA DALLA PROCURA DI NAPOLI

Per chi si domanda come mai l’inchiesta abbia origine dalla procura di Napoli, Repubblica spiega che “i pm partenopei, nel marzo 2022, iscrissero nel registro degli indagati Francesco Amato ed Emanuele Caruso, oggi 39 e 44 anni, due broker pugliesi accusati di sostituzione di persona e truffa. Ad aprire anche giudiziariamente quel caso politico era stata infatti la denuncia dell’allora deputato di Italia Viva, Gennaro Migliore,  e dell’ambasciatore Sergio Piazzi, rispettivamente presidente e segretario generale dell’Assemblea parlamentare del Mediterraneo: assemblea dalla quale gli indagati Caruso e Amato sostenevano di essere in qualche modo patrocinati nelle loro attività”.

Tanto che nei documenti legati alla vicenda della compravendita di armi alla Colombia comparivano infatti loghi che rimandavano a quell’organizzazione internazionale – con sede a Napoli – che riunisce delegati di 30 Paesi delle due sponde del Mediterraneo. “Credenziali contraffatte” sottolinea Repubblica aggiungendo che “Migliore, che della Apm è stato il presidente fino a  poco tempo fa, insieme con l’allora  segretario generale Piazzi, avevano denunciato tutto in un esposto contro anonimi”.

LA COMPRAVENDITA COLOMBIANA AL CENTRO DELL’INCHIESTA

Tornando all’inchiesta, gli inquirenti sostengono che “La somma complessiva di 80 milioni di euro era in concreto da ripartirsi tra ‘la parte colombiana’ e la ‘parte italiana’ attraverso il ricorso allo studio legale associato americano Robert allen law  – con sede a Miami (segnalato e introdotto da D’Alema quale agent e formale intermediario commerciale presso Fincantieri e Leonardo ) rappresentato in Italia e per la specifica trattativa da Umberto Bonavita e Gherardo Gardo”.

Trattativa poi interrotta “a causa della mancata intesa sulla ulteriore distribuzione della predetta somma tra le singole persone fisiche costituenti la ‘parte italiana’ e la ‘parte colombiana’”.

LA POSIZIONE DI D’ALEMA RACCOLTA L’ANNO SCORSO DA REPUBBLICA SUL COLOMBIA GATE

Nel frattempo, sempre a Repubblica proprio l’anno scorso, dopo l’esplosione del Colombiagate sui giornali (con la Verità a riportare per primo la vicenda), D’Alema aveva affidato la sua versione dei fatti.

“Dalle armi vendute alla Colombia non avrei preso un euro. A Bogotà erano interessati a prodotti italiani e ho avvisato di questo Leonardo e Fincantieri, ma anche il vice ministro alla Difesa Mulè”, spiegava al quotidiano a marzo 2022 l’ex presidente del Consiglio.

Repubblica, D’Alema ha precisato che da quando ha lasciato il ruolo politico (nel 2013, ndr) svolge “un’attività di consulenza regolare: ho una mia società e inoltre lavoro con Ernst&Young, di cui sono presidente dell’advisory board. Il mio lavoro è quello di consulenza strategica, relazioni, ma non sono uno che va a fare mediazione di vendita”. “Per policy aziendale della mia società non accetto incarichi da società pubbliche. Ma solo da private. Non sarebbe vietato, intendiamoci. Ma ritengo sia più giusto così”, puntualizzava D’Alema.

E allora perché emerge il suo nome nella trattativa di Fincantieri e Leonardo? “Io non ho alcun rapporto di lavoro né con Fincantieri né con Leonardo e non trattavo per conto di nessuno”, aveva assicurato a Repubblica D’Alema.

L’AUDIZIONE DI PROFUMO

“D’Alema non aveva nessun mandato, formale o informale, a trattare per conto di Leonardo” in Colombia. Lo aveva sottolineato l’allora ad di Leonardo Alessandro Profumo presso la Commissione Difesa del Senato durante la sua audizione al Senato nell’aprile 2022.

L’ex numero uno di Leonardo aveva poi ammesso di aver “partecipato a una videocall con D’Alema, ma dal mio ufficio. Doveva essere di saluto al ministro della Difesa colombiano che non si è presentato e ha avuto tempi estremamente rapidi”.

Nel caso specifico, “il presidente D’Alema, anche in relazione alla sua storia istituzionale, ha prospettato a Leonardo che queste opportunità possono essere maggiormente concreti ma fin da subito ha chiarito che sarebbe rimasto del tutto estraneo alle future attività di intermediazione. Sulla base di questa soluzione l’azienda ha avviato le attività di verifica della fattibilità di queste ulteriori opportunità” aveva evidenziato l’ad di Leonardo. Nel caso delle trattative con la Colombia che ha coinvolto l’ex premier Massimo D’Alema, “non siamo arrivati alla richiesta del contratto”, aveva rimarcato Profumo.

I PRIMI COMMENTI POLITICI

All’epoca delle audizioni parlamentari dei vertici di Leonardo e Fincantieri, la posizione dell’allora sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè (in quota Forza Italia) era che “Il governo aspetta gli audit e poi il ministero dell’Economia, che vigila sui due gruppi, valuterà il da farsi”. Ricordiamo infatti che sia Leonardo sia Fincantieri sono partecipate di Stato.

Ma i partiti di centrodestra (Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia) e Italia Viva avevano protestato circa le posizioni espresse da Alessandro Profumo in commissione. Ad oggi, dopo la notizia delle perquisizioni della Digos di Napoli sono pochi i commenti politici.

“Ovviamente sono garantista e credo che ciascuno possa legittimamente svolgere l’attività imprenditoriale e commerciale nel rispetto delle norme vigenti. Ed auguro alle persone interessate dall’indagine di dimostrare la loro estraneità ad ogni responsabilità. Lo dico sinceramente” ha dichiarato il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, che aggiunge: “Tuttavia ricordo di avere sollevato, in Commissione Difesa del Senato, nella scorsa legislatura, la vicenda della vendita di armi alla Colombia con interventi impropri di soggetti privati in connessione con chi aveva responsabilità importanti all’epoca nel gruppo Leonardo. Ho sollecitato delle audizioni che si sono poi svolte su mia richiesta. Ed erano emerse vicende sinceramente singolari, per non dire inquietanti. Gli accertamenti in corso sono quindi inevitabili”.

Back To Top