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Golfo

Perché l’Arabia Saudita vuole entrare nella banca dei Brics: Riyad si cinesizza?

La banca dei Brics (imperniata sulla Cina) sta negoziando l'ingresso dell'Arabia Saudita, utile a compensare l'impatto delle sanzioni alla Russia. Tutti i dettagli

 

La Nuova banca di sviluppo, l’istituto finanziario dei BRICS con sede a Shanghai, sta negoziando l’ingresso dell’Arabia Saudita. Il Financial Times, che ha dato la notizia, ha scritto che l’eventuale entrata di Riad rafforzerebbe le capacità di finanziamento della banca in un momento difficile per il gruppo e per Mosca, che sta accusando l’impatto delle sanzioni imposte dall’Occidente.

Dei BRICS fanno parte Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.

COS’È LA NUOVA BANCA DI SVILUPPO

Come i BRICS hanno l’ambizione di fare da contrappeso al G7, l’organizzazione delle sette principali economie avanzate del mondo, così la Nuova banca di sviluppo si pone in alternativa alle istituzioni di Bretton Woods, come la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale, di stampo occidentale. È stata creata nel 2015 con l’obiettivo di finanziare progetti di sviluppo nelle economie emergenti: ha concesso prestiti per 33 miliardi di dollari a oltre novantacinque progetti nei paesi BRICS, allargandosi poi agli Emirati Arabi Uniti, all’Egitto e al Bangladesh.

ARABIA SAUDITA NELLA BANCA DEI BRICS: CHI CI GUADAGNA

L’ingresso dell’Arabia Saudita nella banca permetterebbe di rafforzare la cooperazione tra i BRICS e il secondo maggiore produttore di petrolio del pianeta. In un comunicato inviato al Financial Times, la Nuova banca di sviluppo dichiara di attribuire “grande importanza al Regno dell’Arabia Saudita” e di essere attualmente impegnata in un “dialogo qualificato”.

Dialogo che, peraltro, è stato rivelato in un momento molto importante per l’istituto, che questo martedì terrà il suo incontro annuale nel quale valuterà le proprie opzioni di finanziamento, ridottesi a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. In quanto membro fondatore, la Russia possiede una quota del 19 per cento circa nella banca. La partecipazione di Riad andrebbe dunque a beneficio delle capacità di mobilitazione di fondi.

Visto dall’Arabia Saudita, invece, l’eventuale ingresso nella banca dei BRICS le permetterebbe di stringere i suoi legami con i cinque paesi e in particolare con la Cina, viste le affinità energetiche: Riad è la maggiore esportatrice di petrolio al mondo, Pechino la maggiore importatrice. Tra sauditi e cinesi le cose vanno molto bene: l’anno scorso il presidente della Repubblica popolare, Xi Jinping, ha visitato il regno e ha annunciato l’inizio di una “nuova era” nei rapporti bilaterali; lo scorso marzo la Cina ha mediato tra l’Arabia Saudita e l’Iran, storiche avversarie regionali, per la riattivazione delle relazioni diplomatiche.

LA RUSSIA È UN PROBLEMA PER LE FINANZE DEI BRICS

La Nuova banca di sviluppo ha dovuto sospendere la sua esposizione alla Russia da 1,7 miliardi di dollari (pari all’incirca al 6,5 per cento dei suoi asset totali) e a interrompere i finanziamenti di nuovi progetti russi per rassicurare gli investitori internazionali sul rispetto delle sanzioni occidentali contro Mosca.

Ashwani Muthoo, direttore generale dell’ufficio di valutazione della banca, ha ammesso che “stiamo facendo difficoltà a mobilitare risorse”. Non ha commentato le trattative con l’Arabia Saudita, ma ha detto che l’istituto vuole esaminare strumenti e valute alternative (come lo yuan cinese, e in futuro il rand sudafricano) per raccogliere fondi. “Dovremo analizzare la situazione in Russia, la guerra”, ha concluso.

E LA RUSSIA CHE FA?

La Russia ha detto di considerare la banca dei BRICS uno strumento utile ad alleviare l’impatto delle sanzioni e a permettere il distacco dal commercio petrolifero agganciato al dollaro statunitense. Il primo ministro Mikhail Mishustin ha dichiarato a proposito che “uno dei principali obiettivi della banca” è la difesa del gruppo dalle “sanzioni illegittime dell’Occidente”.

Eppure la Nuova banca di sviluppo ha sospeso le attività legate alla Russia. Lo stesso aveva fatto l’anno scorso la Banca asiatica d’Investimento per le infrastrutture, un altro istituto fortemente legato alla Cina (ma molto meno esposto a Mosca).

Come spiega il Financial Times, le decisioni della Nuova banca di sviluppo e della Banca asiatica d’Investimento per le infrastrutture dimostrano come perfino le istituzioni che si pongono in alternativa all’Occidente hanno poi di fatto collaborato all’implementazione delle sanzioni alla Russia. Si tratta però di una cooperazione obbligata, in un certo senso, perché BRICS e Cina non possono – non al momento, almeno – fare a meno del dollaro negli scambi internazionali.

È LA CINA CHE GUIDA L’ALLARGAMENTO DEI BRICS?

Il mese scorso l’ambasciatore del Sudafrica nei BRICS, Anil Sooklal, ha fatto sapere che ci sono diciannove paesi interessati ad aderire al gruppo: oltre all’Arabia Saudita e all’Iran, che hanno fatto richiesta formale di adesione, tra quelli mostratisi interessati ci sono l’Algeria, l’Argentina, il Bahrein, l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti e l’Indonesia.

Se è vero che i BRICS vogliono accrescere la loro influenza internazionale per meglio rivaleggiare con l’ordine mondiale a guida statunitense, d’altro canto l’allargamento del gruppo viene visto con una certa preoccupazione da Brasile, Russia, India e Sudafrica: temono che la loro rilevanza possa venire diluita se la Cina dovesse tirare dentro molti suoi alleati, come i sauditi e gli iraniani.

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