Manovre in corso (anche politiche?) per il rinnovo del consiglio di amministrazione di Anima holding, la maggiore sgr italiana con un patrimonio in gestione di circa 180 miliardi e oltre un milione di clienti: i grandi azionisti di Anima sono in fibrillazione.
Le liste per il rinnovo del board sono state depositate martedì 28 febbraio, in vista dell’assemblea dei soci in programma per il 21 marzo.
La prima mossa, negli ultimi giorni, è stata quella di Fsi.
Oltre 108 milioni di euro per acquistare il 7,2% di Anima Holding e rafforzare dunque l’italianità della più grande società indipendente di gestione del risparmio nel nostro Paese. L’operazione, curata da Mediobanca, ha permesso al Fondo guidato da Maurizio Tamagnini di comprare 24,98 milioni di azioni a un prezzo di 4,35 euro per azione.
Eppure dal gruppo francese Amundi (azionista di Anima con il 5,2%) non sono attese liste per il rinnovo del cda di Anima. Dunque le attenzioni sono concentrate sul ruolo di Banco Bpm, primo azionista con il 20,6% della sgr: il colosso francese del Crédit Agricole in Banco Bpm ha una partecipazione del 9,1%.
“Ed è proprio la comparsa del Crédit Agricole nel Banco a far scattare il campanello d’allarme nel governo italiano, che nei suoi programmi ha anche quello di cercare di reindirizzare l’enorme risparmio degli italiani, circa 6 mila miliardi di euro, verso attività domestiche, riducendo la percentuale crescente di fondi esteri che vengono sottoscritti attraverso gli sportelli di istituti italiani – ha scritto Giovanni Pons di Repubblica – Una argomentazione che si è sentita nell’entourage di Meloni e Salvini è proprio quella che fa riferimento a questi 6 mila miliardi di risparmio privato che si confrontano con i 2.500 miliardi di debito pubblico italiano, solo per una parte in mani straniere. Se gli italiani tornassero a sottoscrivere titoli del debito italiano, aumentando la quota in loro possesso, l’atteggiamento dell’Europa nei confronti dell’Italia potrebbe cambiare sensibilmente”.
Ma vediamo che cosa è successo negli ultimi giorni in e attorno ad Anima. Partendo da Fsi.
CHI È E COSA FA FSI
Fsi è una società di gestione del risparmio cui fa capo il maggiore Fondo di investimento in capitale di rischio interamente dedicato all’Italia e uno dei tre maggiori europei dedicato ad un solo Paese, con una dimensione di 1,4 miliardi di euro. Fsi ha sede a Milano, è operativa dal 2016 e ha come obiettivo quello di promuovere l’ingresso delle eccellenze dell’imprenditoria italiana al mercato di capitali.
Come riportato sul profilo LinkedIn, gli investimenti di Fsi sono “prevalentemente di minoranza con solidi presidi di governance e con un ruolo attivo”. Fsi “investe nelle aziende senza o con moderata leva finanziaria”.
LA GOVERNANCE ITALIANA
Di sicuro la governance di Fsi è tutta italiana. Oltre a Tamagnini nel board siedono il presidente Umberto della Sala e gli altri membri Barnaba Ravanne, Nannj Longo e Paola Camagni. Sulla stessa linea il Comitato investimenti – presieduto da Ravanne e con Tamagnini, Marco Costaguta, Marco Tugnolo e Carlo Moser – e il Collegio sindacale che conta al suo interno tre sindaci effettivi (Riccardo Perotta, Ottavia Alfano, Silvano Corbella). Infine, tutto made in Italy anche l’Organismo di Vigilanza composta dal presidente Enrico Maria Bignami e da Massimiliano Marinelli e Ugo Lecis.
CHI SONO GLI AZIONISTI
Come si evince dalle informazioni ripotate sul sito di Fsi, la compagine degli investitori è eterogenea per asset class e per provenienza geografica e include Cassa depositi e prestiti, il Fondo europeo per gli investimenti, banche, assicurazioni e asset manager europei, fondazioni bancarie, casse di previdenza, family office di gruppi industriali e fondi sovrani di Medio Oriente, Estremo Oriente e Asia Centrale, alcuni dei quali hanno già operato con il team di FSI nella precedente esperienza del Fondo Strategico Italiano.
LA DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA
Proprio in riferimento alla provenienza degli azionisti si scopre dunque che gli investitori italiani sono pari al 70% mentre quelli internazionali sono il 30%.
LE PRESENZE ESTERE DI FSI
“I capitali a Fsi non mancano – ha scritto il Sole 24 ore – L’ultimo fondo, Fsi 1, è quasi totalmente investito nella sua dotazione da 1,5 miliardi, ma è prossimo al lancio il secondo fondo del veicolo guidato da Tamagnini. Tra i grandi sottoscrittori ci sono fondi sovrani come Temasek e la Kuwait Investment Authority, ma anche l’Eif, family office europei, banche e assicurazioni”.
FSI DI TAMAGNINI BALUARDO DELL’ITALIANITA’?
“Difficile che la mossa di Fsi sia da leggere in un’ottica di “protezione” dell’italianità di Anima – ha scritto Carlo Festa del Sole 24 ore – Più realistico invece che il colosso del risparmio venga visto come uno snodo futuro del risiko non solo in ambito risparmio gestito, ma anche bancario”. Ad oggi Fsi – ha ricordato il quotidiano di Confindustria – ha investito più di un miliardo di euro in settori come il fintech,tecnologia e finanza, che restano assieme al farmaceutico le aree di maggior interesse per il fondo guidato da Tamagnini: “Il primo investimento di questo tipo è stato in Sia, effettuato quando Fsi era ancora il vecchio Fondo Strategico Italiano: Sia è poi confluita in Nexi, diventando la maggiore fintech europea con un valore triplicato dagli iniziali 700 milioni”.
LE ULTIME MANOVRE DI FSI
Fsi, che è partner italiano della Ion dell’imprenditore Andrea Pignataro, ha puntato di recente su Cedacri (passato da 360 milioni a 1,5 miliardi di valore) e Cerved, dove è presente in minoranza, ha aggiunto il Sole 24 ore: “In Bcc Pay, la monetica delle banche cooperative, Fsi ha investito 200 milioni di euro quasi un anno fa. In ambito tecnologico Fsi ha poi rilevato una quota del gruppo Lynx. Nelle quattro aziende in cui ha disinvestito ad oggi, accompagnandole nello sviluppo, il fatturato è passato da 2,5 a 3,5 miliardi di euro e l’Ebitda da 300 a 500 milioni”.
LA DISTRIBUZIONE PER ASSET CLASS
Sempre dal sito del Fondo guidato da Tamagnini si scopre che i soci più rilevanti sono gli investitori istituzionali italiani, con una quota del 40%, seguiti dalle assicurazioni (22%) e dai fondi sovrani (16%). Presenti anche le banche (12%), gli investitori istituzionali esteri (8%) e i family offices (2%), ovvero le società che gestiscono ricchezze e investimenti di una famiglia facoltosa.
LE MIRE DI FSI
Fsi ha comunicato di non avere intenzione di promuovere un’Opa su Anima per i prossimi 12 mesi. Tamagnini ha chiuso nell’ultimo anno e mezzo tre operazioni nel fintech, tra Bcc Pay, Cedacri, Cerved e Lynx. Ora il risparmio gestito. Il fondo da 1,4 miliardi è ormai impegnato e Fsi prepara la nuova raccolta.
Quasi certo – secondo gli analisti finanziari – il deposito della candidatura del fondo Fsi, entrato nel capitale un paio di settimane fa con il 7,2% e poi salito al 9%, cui spetta il diritto di esprimere un candidato. Il meccanismo per la costituzione del board di Anima è infatti soggetto a un sistema proporzionale puro, quindi chiunque abbia l’1% può presentare una lista.
L’AZIONARIATO DI ANIMA
L’obiettivo della mossa del Fondo di Tamagnini potrebbe essere quello di creare un grande player nel risparmio gestito italiano. Anima, guidata dal ceo Alessandro Melzi D’Eril, è una delle maggiori realtà del settore, forte di asset in gestione per 177 miliardi e oltre un milione di clienti. L’assetto della sgr è articolato. Ci sono BancoBpm (20,6%), Poste Italiane (10,3%), Caltagirone (3,2%) e Amundi (5,1%). Banco Bpm colloca i fondi della sgr, al pari di Poste.
IL RUOLO DI BANCO BPM
Come primo azionista, Banco Bpm dovrebbe esprimere il presidente come ha fatto in precedenza. Nei giorni scorsi era circolato – come scritto con dovizia di particolari da Start Magazine – il nome di Patrizia Grieco, attuale presidente di Mps che ha già comunicato di non ricandidarsi ed è già stata nel cda della sgr. Il Comitato dei gestori azionisti di Anima, (3,1% del capitale) ha presentato la lista di minoranza per il cda con Francesco Valsecchi, Paolo Braghieri e Karen Sylvie Nahum. Da Amundi (5,2%) non sono attese liste.
LA MOSSA DI POSTE CON CALTAGIRONE
Dopo l’avanzata di Fsi, c’è stata la mossa di Poste Italiane (gruppo guidato dall’ad, Matteo Del Fante) e Francesco Gaetano Caltagirone, costruttore, editore e finanziere. Nei giorni scorsi è stato comunicato il patto parasociale stretto da Poste, azionista con l’11,016% di Anima holding, con il gruppo Caltagirone, che attraverso Gamma srl ha il 3,19% della sgr. Assieme possono contare su quote e diritti di voto pari al 14,2%. Lo spirito del patto? «Salvaguardare l’italianità a fianco di Banco Bpm e del fondo Fsi», secondo il Corriere della sera.
L’ALLEANZA DI POSTE CON CALTAGIRONE
I due soci hanno depositato una lista comune per la nomina del nuovo consiglio di amministrazione che ha tre candidati: due indicati da Poste e uno da Caltagirone: “In questo modo – si legge sul quotidiano di Confindustria – il finanziere romano si garantisce di fatto l’ingresso nel board con un proprio rappresentante, e ottiene così un risultato di peso, considerata la taglia della partecipazione rispetto a quella degli altri azionisti”.
LE LISTE PER IL CDA
Banco Bpm, primo azionista (20,6%), schiera il presidente Patrizia Grieco, il ceo Melzi d’Eril, che hanno già ricevuto il gradimento di tutti gli azionisti, Costanza Torricelli, Giovanna Zanotti e Gianfranco Venuti. Poste e Caltagirone vede Maria Cristina Vismara, Maria Annunziata e Fabio Corsico (manager e dipendente di Caltagirone). Per Fsi c’è Marco Tugnolo e Amundi sposa la lista del Comitato dei gestori.
OBIETTIVI CHIARI E DICHIARATI?
Se, come detto, per il Corriere della sera lo spirito del patto fra Poste e Caltagirone è chiaro, invece per il quotidiano La Verità nella nota Poste-Caltagirone non vengono spiegati, ha scritto Camilla Conti, “gli obiettivi strategici di questa “strana coppia””. Considerato anche che il gruppo Poste è controllato da Cdp (all’82,77% dal ministero dell’Economia) e dal ministero dell’Economia, con quote rispettivamente del 35% e del 29,26%.
IN ANIMA C’E’ BATTAGLIA POLITICA?
Ciò significa – di fatto – che il governo Meloni tramite il ministero dell’Economia e la controllata Cassa depositi e prestiti si schierano in una battaglia in corso fra soci della sgr? E’ dunque anche e soprattutto una battaglia politica – come fa capire il quotidiano Repubblica – quella per il board di Anima?
Vedremo e seguiremo gli sviluppi.