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Nuova Zelanda

Tutti gli accordi commerciali tra Ue, Nuova Zelanda e India

L'Unione europea ha concluso i negoziati per un accordo di libero scambio con la Nuova Zelanda e fatto ripartire i negoziati con l'India. Ecco dettagli, numeri e obiettivi.

Giovedì scorso la prima ministra della Nuova Zelanda, Jacinda Ardern, è volata a Bruxelles per riunirsi con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. L’incontro è servito a concludere i negoziati per un accordo bilaterale di libero scambio, che dovrebbe venire firmato nel 2023 e ratificato dal Parlamento europeo e dagli stati membri entro i due anni successivi.

IL CONTENUTO DELL’ACCORDO

Il patto elimina i dazi su tutte le esportazioni europee in Nuova Zelanda e il 97 per cento circa delle tariffe sui prodotti neozelandesi diretti verso l’Unione. Il commissario europeo per il Commercio, Valdis Dombrovskis, ha  detto che contiene disposizioni senza precedenti sui diritti del lavoro e la sostenibilità. L’ha definito un accordo “di nuova generazione […], con entrambe le parti destinate a ottenere reali vantaggi economici e ambientali”.

La precisazione si spiega con le resistenze fatte da alcuni membri dell’Unione all’abbassamento delle barriere commerciali con l’estero. Quello con la Nuova Zelanda, infatti, è il primo accordo di libero scambio raggiunto da Bruxelles in tre anni. Il blocco deve ancora ratificare pienamente altri accordi conclusi nel passato recente: ad esempio quello con il Canada o con il Mercosur, l’unione commerciale sudamericana.

Nel concreto, l’intesa con la Nuova Zelanda dovrebbe portare alla cancellazione, per le aziende esportatrici europee, di maggiorazioni doganali dal valore di 140 milioni di euro all’anno, andando a favorire così l’espansione di un commercio bilaterale che nel 2021 è ammontato a 7,8 miliardi per i beni e 3,7 miliardi per i servizi.

I negoziati sono durati quattro anni e hanno rischiato il fallimento. Alla fine, però, la Nuova Zelanda ha abolito i sussidi ai propri agricoltori e punta ora a conquistare nuovi mercati per le sue carni (manzo e agnello, soprattutto), il burro e il latte in polvere. Wellington, inoltre, ha accettato di eliminare progressivamente l’utilizzo delle denominazioni protette europee per i prodotti alimentari (come “parmigiano” o “feta”, per  esempio).

LE SANZIONI SUL CLIMA

Il patto prevede anche la possibilità, per ciascuno dei firmatari, di imporre sanzioni sull’altro in caso di violazione degli impegni climatici presi con l’accordo di Parigi. Dombrovskis ha dichiarato che “in termini di sostenibilità, questo è l’accordo commerciale più ambizioso mai concluso”.

L’accordo di libero scambio, dunque, si lega direttamente all’agenda per il clima e per le energie pulite. Può pertanto essere fatto confluire nel Green Deal, il piano della Commissione europea per la riduzione delle emissioni di gas serra, che possiede anche una componente di politica estera: stimolare la decarbonizzazione anche al di fuori dei confini dell’Unione, cioè, e gettare le basi per un nuovo sistema di commercio mondiale climate-friendly, con tariffe punitive verso i grandi inquinatori (si pensi al CBAM).

Il trattato con la Nuova Zelanda rappresenta un passo in avanti in questo senso, agevolato però dalla somiglianza sistemica tra le parti (due democrazie che condividono suppergiù lo stesso modello di ordine internazionale). Raggiungere le stesse condizioni con governi meno affini sarà ben più complicato.

LA DIVERSIFICAZIONE DEI MERCATI

L’intesa commerciale tra Bruxelles e Wellington è rilevante anche perché rappresenta, per entrambe, un mezzo per diversificare i mercati di importazione ed esportazione, alla luce del contesto geoconomico globale segnato dalla competizione tra Stati Uniti e Cina e dal parallelo processo di riassestamento delle filiere. Lo ha detto Markus Beyrer, direttore generale del gruppo di lobbying europeo BusinessEurope, al Financial Times.

I NEGOZIATI CON L’INDIA

Lunedì, pochi giorni prima della firma con la Nuova Zelanda, l’Unione europea ha annunciato la ripresa formale dei negoziati con l’India per un trattato di libero scambio: erano fermi da quasi dieci anni, e ora si stima che possano concludersi entro il 2023.

La riattivazione delle trattative è motivata dalla ricerca di una maggiore diversificazione dei partner economici e dalla volontà (comune) di ridurre la dipendenza commerciale con la Cina: Pechino è infatti una socia rilevantissima sia per Nuova Delhi che per Bruxelles. Da parte europea, poi, c’è anche la volontà di offrire uno sbocco commerciale all’India per accelerarne il distacco dalla Russia, alla quale si è avvicinata – specie per quanto riguarda la compravendita di energia – dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Tuttavia, Nuova Delhi è storicamente restìa agli accordi di libero scambio, che la obbligherebbero a rimuovere le protezioni statali ai suoi settori, in particolare quello agricolo.

L’Unione europea è la seconda partner commerciale dell’India dopo gli Stati Uniti, con un interscambio che nell’anno finanziario conclusosi lo scorso marzo ha raggiunto il valore record di 116,3 miliardi di dollari. Secondo uno studio del Servizio ricerca del Parlamento europeo, un accordo di libero scambio bilaterale permetterebbe alle esportazioni europee di beni e servizi in India di aumentare del 52-56 per cento; le importazioni europee dal paese, invece, crescerebbero del 33-35 per cento. Lo studio stima guadagni per entrambi le parti compresi tra gli 8 e gli 8,5 miliardi di euro.

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