La saggezza popolare vuole che il diavolo si nasconda nei dettagli. E in effetti potrebbe essere così anche per ciò che concerne la riforma delle università telematiche che, indipendentemente dall’assetto che prenderà (rischia di lasciare la porta socchiusa a fin troppe deroghe, come si vedrà), ha comunque avuto il merito di aver riconosciuto che esisteva un gap tra gli atenei classici – assoggettati a un regime normativo ben definito – e quelli virtuali lasciati liberi di agire scadendo in diplomifici a discapito di quegli enti che lavorano seriamente e vorrebbero altrettanta serietà dai competitor, sia per evitare casi di concorrenza sleale sia per non essere lambiti indirettamente dai danni reputazionali che puntualmente ricadono sull’intera categoria.
LA DIFFICILE CONVIVENZA TRA ATENEI FISICI E UNIVERSITÀ TELEMATICHE
Finora università telematiche e atenei tradizionali non sono mai riusciti ad andare troppo d’accordo (basti ricordare le parole di Giovanna Iannantuoni, rettrice della Bicocca di Milano, nonché presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane) anche se qua e là qualche curiosa commistione abbiamo avuto modo di osservarla.
Non è del resto un mistero che gli atenei classici – pubblici o privati che siano – non vedano di buon occhio i cugini privati virtuali, trattandoli con un certo snobismo dato dal fatto che hanno goduto finora di un regime normativo ampiamente di favore.
MENO COSTI, MA UGUALE ACCESSO AI FONDI PUBBLICI
Regime che ha garantito loro ampie possibilità di risparmio (per esempio non dovendo affrontare costi di gestione e manutenzione di edifici, come pure di custodia e sicurezza privata). Nonostante questo hanno avuto accesso comunque ai fondi pubblici.
Nelle casse di queste aziende private non finiscono solo i soldi degli iscritti, ma anche un vero e proprio fiume di denaro pubblico. Come scrive l’Anvur nel suo rapporto, le università non statali telematiche – si legge a pagina 91 – hanno ricevuto nel corso del periodo 2012-2022 un finanziamento pari a circa 2 milioni di euro annui, con un massimo di 2,8 milioni nell’anno 2021 e un minimo di 1,7 milioni di euro nell’anno 2013.
LA BOZZA MINISTERIALE
Insomma, la situazione di partenza era senza dubbio di disparità acclarata. Resta ora da comprendere quanto la riforma colmerà il solco. Al tavolo hanno preso parte Crui, Cun, Cnsu e Anvur che dovranno esprimersi anche sulla bozza del nuovo testo, che prevede di aumentare il rapporto insegnanti – alunni, determinare ore di attività in sincronia ed esami in presenza. Letta così pare una vittoria su tutta la linea per la Crui e una sconfitta piena per le 11 università telematiche.
LE TANTE DEROGHE PER LE UNIVERSITÀ TELEMATICHE
Ma poi basta scorrere fino all’articolo 5 del Dm per intravedere le prime crepe nel rinnovato rigore ministeriale: sebbene specifichi che “le verifiche di profitto, nonché l’esame finale, sono svolti in presenza” ai regolamenti di ateneo è demandato predisporre altrimenti, fermo restando la “necessità di individuare idonee misure relative all’univoca identificazione dei candidati e al corretto svolgimento delle prove”.
IL RUOLO CENTRALE DELLA TECNOLOGIA
Si lascia insomma più di uno spiraglio a favore di eventuali deroghe al dettato ministeriale anche se i casi vengono tipizzati per avere contorni precisi che riguardino alunni disabili o eventuali pandemie. Lo spiraglio pare diventare un vero e proprio portone spalancato se letto tenendo in filigrana la parte del testo che ammette ulteriori eccezioni basate sul “mutamento delle tecnologie a disposizione per lo svolgimento degli esami”.
Chi investe in tecnologie che assicurino lo svolgimento delle prove secondo i criteri di correttezza, insomma, potrà, forse nel prossimo futuro organizzare nuovamente esami a domicilio. Ma dal Mur comunque tengono a precisare che questa previsione non rappresenta allo stato attuale alcuna scappatoia: fino a nuovo ordine (che dovrà arrivare sempre con decreto ministeriale) gli esami si dovranno tenere in presenza. Imposizione che riguarderà tutte le università, telematiche e non. Solo il dicastero dell’Università potrà decidere, sulla base di nuove – futuribili – tecnologie, di derogare alla regola della presenza per ciò che concerne test ed esami.
CESTINATO IL DM DEL GOVERNO DRAGHI (DAVVERO RIGIDO)
Destinato alla dismissione il Dm 1154/2021 lascito del governo Draghi che portava il rapporto docenti – classi dal “vecchio” uno a tre a uno a uno. Troppo severo. Da qui il compromesso individuato dal Mur che esige un professore strutturato ogni due classi di studenti.
Il decreto Bernini qua salva doppiamente le telematiche, anzitutto cancellando il testo di draghiana memoria che altrimenti sarebbe dovuto essere applicato all’anno accademico in corso e secondariamente prevede un regime transitorio di favore di un anno per i corsi già iniziati. Regime che non si applica però ai nuovi corsi, assoggettati da subito i nuovi parametri.
SINCRONIA O NO? LA SCAPPATOIA
Previsto che almeno il 20% delle attività didattiche online vada svolta in modalità sincrona. Percentuale minima, si dirà, ma che rappresenta comunque un notevole mutamento nell’assetto per le università telematiche che propendevano per mantenere la loro struttura attraverso lezioni preregistrate.
Ma, attenzione: secondo quanto riferito, la bozza utilizzerebbe non per caso l’espressione “attività didattiche” così da ricomprendere un po’ di tutto ( dunque non ci sarebbe l’obbligo di avere tot ore di lezioni sincrone, in quanto rientrano nel computo persino gli incontri col tutor), col solo limite della fantasia. Saranno ore da fare in presenza? Naturalmente no: dovrebbero andar bene pure le aule virtuali.
Considerato che non è del tutto corrispondente al vero (non più almeno) che la maggior parte degli iscritti alle università telematiche è uno studente lavoratore che può mettersi al PC esclusivamente nottetempo o nei weekend, la novella ministeriale non dovrebbe danneggiare gli affari degli atenei digitali. Che era poi la tesi sposata dalle università telematiche contro tale istanza ministeriale.
NODI CHE RESTANO DA SCIOGLIERE
Resta insoluta, in quanto rinviata a successivi interventi normativi, la necessità di indicare se i corsi rientranti in una singola classe di laurea potranno essere erogati in tutte e quatto le modalità previste, vale a dire convenzionale (cioè con una parte telematica non superiore a un terzo del totale) oppure mista (l’online può arrivare ai due terzi) o totalmente in remoto.
SPECIFICITÀ O REGIME DI FAVORE
In questi mesi di tavoli ministeriali è stato detto e ripetuto, specie dal mondo degli atenei digitali, che le nuove norme dovessero creare regole certe ma non parificare i due modi di intendere l’università, fisica e virtuale, dato che c’era da riconoscere e salvaguardare la specificità di ciascuna declinazione.
Resterà da capire se le numerose deroghe che si intravedono fin dalla bozza sono appunto un modo per tutelare la specificità delle università telematiche – che certo non possono diventare fisiche o perderebbero la propria ragion d’essere – o se si tratti di regimi di favore.