Secondo molti osservatori, tutti i limiti del nuovo regolamento anti pezzotto di Agcom si sarebbero infine scontrati contro la dura realtà. Una realtà che, malignano taluni, sarebbe stata evidente a coloro che masticano un po’ di Internet ma evidentemente ignota al legislatore. Ma andiamo con ordine. Dopo aver preso di mira i lupi solitari attraverso i nuovi poteri dell’Autorità di riferimento che consentono di oscurare un sito illegale in appena 30 minuti, la Lega di Serie A ha cambiato bersaglio, puntando la canna della nuova arma legislativa sul colosso americano Cloudflare.
COS’È CLOUDFLARE E PERCHE’ FA VEDERE ROSSO ALLA SERIE A
Cloudflare è una società americana che si occupa di content delivery network, servizi di sicurezza internet e servizi di DNS distribuiti, che si pongono tra i visitatori di un sito e gli hosting provider degli utenti Cloudflare, agendo come un reverse proxy server per siti web.
La principale colpa di Cloudflare, almeno a detta della Serie A, è quella di fornire delle VPN gratuite ai propri utenti, ovvero una “rete privata virtuale”, un servizio che protegge la connessione internet e la privacy online. Meglio specificarlo subito: la VPN non la utilizza solo chi intende eludere le norme nazionali dato che, con quello strumento, è possibile evitare di essere geolocalizzati ed è il motivo per cui vanno per la maggiore nei Paesi meno democratici, dove Internet è soggetto a restrizioni.
Poi naturalmente se ne possono fare altri usi: per esempio, setacciando i forum italiani si scopre che molti la sfruttano per identificarsi come residenti oltreoceano, abbonarsi a notissimi servizi streaming del tutto legali (naturalmente non è così facile e immediato: servirà anche un sistema di pagamento in dollari e certificato come locale) che con 7 dollari al mese offrono la visione in chiaro di tutta la Serie A e si pongono dunque come una alternativa assai più conveniente di Dazn qua in Italia.
Sono le conseguenze del Web che, inutile ricordarlo, non conosce spazi fisici e confini. E i liberisti più convinti potrebbero derubricare il tutto sotto la formula “è il mercato, bellezza”. Molti giuristi invece obietteranno vedendoci i requisiti essenziali di reati anche gravi come la truffa. Altri potrebbero replicare che, semplicemente, è diritto del consumatore pagare il servizio dove è più conveniente. Nel mondo fisico chi abita vicino al confine è sempre andato a fare benzina o a comprare le sigarette in Francia o in Slovenia, no? La discussione, insomma, infiamma gli stessi forum in cui ci si scambia questo genere di gabole.
COSA CONTESTA LA SERIE A A CLOUDFLARE
E poi naturalmente ci sono modi molto più illeciti per usare le VPN, a iniziare proprio dalla connessione privata a siti pirata e dunque totalmente illeciti. Il quadro di riferimento, insomma, è questo, con tutte le sfaccettature e complessità che ne derivano.
Secondo quanto riporta Repubblica, nel ricorso che la Lega di Serie A ha depositato presso il Tribunale di Milano la ricorrente ricorda che l’utilizzo della Vpn «sposta il collegamento tra i pirati e i propri clienti da una rete pubblica a una privata, in un circolo segreto dove è possibile operare al di fuori dei controlli delle Autorità» e accusa Cloudflare dato che «fornisce agli spacciatori» -ovvero ai pirati informatici – «il locale di spaccio e le vie d’uscita», per non essere beccati dalle autorità nazionali.
In particolare la Lega di Serie A contesta a Cloudflare un documento in cui l’azienda di San Francisco spiega (si vanta?) di non aver «mai installato software delle forze dell’ordine o apparecchiature» sulla sua rete; e di non aver «fornito ad alcuna forza dell’ordine un feed dei contenuti dei propri clienti». Insomma, la realtà americana al pari delle acque internazionali creerebbe, secondo l’accusa tutta italiana, un terreno di illegalità e si rifiuterebbe di collaborare con le autorità fornendo loro i log di connessione dei propri utenti.
LA LOTTA SENZA QUARTIERE (E SENZA FINE) DI STEAM ALLA VPN
Il problema scoperto oggi dall’Agcom e dalla Serie A con il ricorso contro Cloudflare (ma la situazione potrebbe presto capovolgersi dato che la società statunitense lamenta l’oscuramento di siti perfettamente legali) è in realtà già noto da anni a coloro che gestiscono e-commerce con prezzi diversificati a seconda del Paese.
Un esempio è Steam di Valve, tra i principali negozi online di videogiochi digitali: fino a poco tempo fa il negozio offriva prezzi differenti a seconda della valuta usata per l’acquisto così da dare diverso peso alle singole monete e non svantaggiare eccessivamente coloro che hanno un minor potere d’acquisto semplicemente perché la propria divisa nazionale è assai più leggera rispetto all’euro o al dollaro. Molti giocatori però, grazie a stratagemmi simili a quelli poc’anzi descritti, spostavano fittiziamente la loro posizione in zone del mondo in cui il cambio era più favorevole e ottenevano videogame a prezzo stracciato. Come ha risolto Valve dopo anni di battaglie? Parificando i costi in tutto il mondo…