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Se l’agricoltura diventa multifunzionale e innovativa, recupera il suo ruolo

La globalizzazione e il capitalismo, realtà ormai consolidate, hanno sovvertito completamente i modelli di produzione agroalimentare mutando notevolmente i metodi, sia per soddisfare le esigenze alimentari di una popolazione mondiale in continua crescita, sia per massimizzare i raccolti e i profitti.

Di fatto il mondo agricolo è profondamente cambiato e si è trovato a dover affrontare nuove sfide: dallo sviluppo sostenibile alla chimica verde, il tutto passando per innovazione e tecnologia. A parlarcene è Sofia Mannelli, Presidente di Chimica Verde, Associazione che ha lo scopo di promuovere e sviluppare la ricerca e l’applicazione industriale di materie prime di origine vegetale, nel rispetto di criteri di sostenibilità ambientale e di tutela della biodiversità e del paesaggio.

In una società sempre più in crescita, ma nello stesso tempo dominata dalla necessità di promuovere una produzione sostenibile, come si è evoluto il modo di fare agricoltura oggi?

I dati delle Nazioni Unite ci dicono che nel 2150 l’incremento demografico porterà la popolazione mondiale a quota 10 miliardi; saranno 10 miliardi di persone da sfamare. Inoltre sappiamo che, quando un Paese esce da condizioni di arretratezza, cambia la tipologia di alimentazione aumentando molto la componente protetica (animale) della dieta. Tutto questo comporta la necessità di aumento di suolo, oppure ad una maggior efficienza della produzione. Per ottenere più cibo, di maggior qualità, oltretutto in modo sostenibile al fine di evitare di danneggiare ancora il pianeta e di provare a migliorare la qualità della vita, il passaggio da fare è epocale: la nuova agricoltura dovrà fare i conti con moltissimi fattori e più che altro dovrà essere resiliente, capace cioè di resistere in modo positivo, indeformabile, a tutti gli agenti esterni negativi che arriveranno. Per fare questo, da molti anni , l’UE ha suggerito una grande strategia che già è abbastanza ben concretizzata in Italia: la “multifunzionalità agricola”. L’agricoltura e l’uso della terra hanno un impatto sul benessere sociale che non si deve esaurire nella produzione di generi alimentari, ma che si realizza attraverso una serie di funzioni (ambientali, paesaggistiche, ricreative, culturali…) strategiche per l’equilibrio ambientale, sociale ed economico. Il nuovo modello di agricoltura individua 4 diversi pilastri per l’azienda agricola:

Produzione di cibo: agricoltura competitiva nei mercati mondiali ma anche agricoltura di alta qualità in termini non solo quali/quantitativi dei prodotti, ma anche in funzione della sicurezza alimentare.

Funzioni ambientali: agricoltura che produce esternalità positive, che diminuisce le esternalità negative e che contribuisce alla sicurezza ambientale.

Funzioni rurali e sociali: agricoltura che conserva il paesaggio rurale, le tradizioni culturali locali e contribuisce allo sviluppo socio-economico delle comunità rurali quindi contribuisce a migliorare la qualità della vita locale.

Funzione economica: siamo in un momento di gravissima crisi strutturale in agricoltura, abbiamo perso negli ultimi 40 anni oltre 5 milioni di ettari d terreno agricolo, occorre ritornare a fare reddito. La multifunzionalità, essendo più duttile, è in grado di garantirlo.

 

La parola “agricoltura” si associa subito al mondo del food, ma oggi il nesso non è più così scontato. Qual è il rapporto tra food e non food? Quali i campi di applicazione del non food?

In un’azienda agricola che vuole stare sul mercato si deve imparare a concepire la propria strategia attraverso la diversificazione produttiva, magari non tutte, ma almeno alcune di queste attività, dovrebbero essere portate avanti all’interno della impresa: produzione alimentare, bioenergia, chimica verde, produzioni di fibre così come le attività legate al turismo dalla fattoria didattica all’agriturismo. Sono molti i campi di applicazione del “non alimentare”, ne citerò solo alcuni: la produzione di fibre sia per l’abbigliamento che per la bioedilizia, la produzione di energia elettrica e termica sia per autoconsumo che come attività imprenditoriale, le attività turistiche e, se molto virtuoso il sistema agricolo, grazie alla chimica verde, è in grado di essere produttore dei propri mezzi tecnici col sovescio (pratica agronomica consistente nell’interramento di apposite colture allo scopo di mantenere o aumentare la fertilità del terreno), oppure di diventare produttore di materie prime attraverso l’agricoltura da commodity, ma anche di bioprodotti, ad oggi di cruciale utilità sia per grandi imprese chimiche che una serie di piccole e medie imprese nella fase di produzione, trasformazione ed utilizzazione.

Quanto si produce oggi in termini di energia con la chimica verde?

Nel 2011, nel mondo, il 10% dell’energia prodotta è stata generata da biomasse e rifiuti. La chimica verde, usualmente produce bioprodotti e non produce energia se non in fondo al processo di produzione di una bioraffineria. Mi spiego meglio, le bioraffinerie sono un complesso, di solito industriale, dove viene adottato un approccio a cascata nell’uso della biomassa, le biomasse vengono trasformate in bioprodotti ad alto valore aggiunto attraverso processi chimici e fisici; solo alla fine del ciclo, quando da quella matrice non si riesce a isolare nuove molecole, allora quella biomassa può essere avviata alla produzione di energia. Ad esempio il famoso progetto di Crescentino di proprietà di un’azienda del Gruppo Mossi & Ghisolfi, una matrice, ancora non sfruttata come la lignina anche se chimicamente molto interessante, che fuoriesce dal ciclo di produzione dell’impianto di M&G, viene utilizzata per alimentare un impianto da circa 13 MW a biomasse.

Solo nell’ambito del biogas, ad esempio, alla fine del 2012 erano operativi 994 impianti funzionanti con materiale organico di origine agro-zootecnica (dati CRPA 2013), con la potenza elettrica installata che è passata da 350 MW nel 2011 a 756 MW nel 2012, quasi tutti localizzati nelle regioni del nord dell’Italia. Il potenziale produttivo al 2030 è stimato in circa 8 mld di Nm3 di gas metano all’anno, pari al 10% del consumo attuale di gas naturale. Un tale sviluppo non solo porterebbe notevoli vantaggi ambientali ma potrebbe produrre un incremento economico pari a circa il 5% del PIL dell’agricoltura italiana, consentendo un risparmio delle importazioni di gas naturale stimato in circa 2 mld di euro all’anno a prezzi correnti e consolidando la leadership italiana a livello mondiale, grazie ad una delle reti del gas più diffuse, un sistema di generazione elettrica tra i più moderni e la rilevanza del settore dell’autotrazione a gas metano dove rappresenta il sesto mercato al mondo, prima di Cina, Stati Uniti e Germania.

Che ruolo ha avuto l’innovazione tecnologica nella trasformazione del mondo agricolo? Quali i principali campi di applicazione?

L’innovazione tecnologica è alla base di tutte le attività moderne. Anche per le attività agricole l’innovazione, sia di prodotto che di processo, è lo strumento per crescere e diventare più sostenibile. Dal boom degli anni ’50 con lo sviluppo della rivoluzione verde, grazie all’adozione di varietà di piante altamente produttive, di fertilizzanti e di pesticidi o precedentemente tutto il periodo della meccanizzazione agraria, le produzioni sono aumentate sia in qualità che in quantità e la qualità di vita dei lavoratori decisamente migliorato. Come è stato ricordato, in un documento di Inea, grazie a questo percorso tecnologico l’agricoltura mondiale ha sperimentato nella seconda metà del secolo scorso un grande aumento delle performance, al punto che nell’arco di 50 anni (dal 1950 al 2000) la produttività per ettaro è cresciuta di quasi il 150%, quella del lavoro agricolo di quasi il 75%, la produttività totale dei fattori di circa il 55%.

Numerosi documenti strategici prodotti da organizzazioni internazionali e istituzioni europee vedono la bioeconomia come settore con le maggiori potenzialità di sviluppo in Europa. Essa ha nell’ UE un fatturato di circa 2000 miliardi di euro l’anno con più di 22 milioni di posti di lavoro nei settori dell’agricoltura, della selvicoltura, della pesca, come produzione primaria, ma anche nella lavorazione delle biomasse a destinazione alimentare e di quelle non alimentari (la produzione di paste di cellulosa e carta, composti chimici, materiali e biocombustibili, ecc). Quest’ultimo ambito è quello della bioindustria, pilastro centrale della bioeconomia europea, in grado di convertire in maniera selettiva e ambientalmente sostenibile biomasse residuali e non in un ampio spettro di prodotti nuovi e/o competitivi con i loro omologhi convenzionali, promuovendo una crescita economica sostenibile nelle aree rurali, lungo le coste e nelle aree industriali provate dalla attuale crisi economica

Nel recente Piano strategico della ricerca in agricoltura che il Mipaaf ha evidenziato che filiere dell’agroindustria vanno in molti casi ripensate prevedendo bioraffinerie per la produzione di composti chimici, materiali e/o biocarburanti (ottenuti da biomasse residuali e non alimentari) che, anche mediante l’integrazione di nuovi processi, siano in grado di valorizzare al massimo la produzione primaria e di sfruttare al meglio anche tutte le frazioni organiche non costituenti prodotto, altrimenti destinate allo smaltimento.

 

 

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