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Isaia

Sartoria 3.0? Non per il Made in Napoli di Gianluca Isaia

Riconosciuta in tutto il mondo come sinonimo di qualità ed eccellenza, esempio brillante e vincente della sartoria tradizionale, Isaia affonda le sue origini negli anni ’20 tramandandosi da tre generazioni il sapere accumulato nel corso dei decenni. Startmag ha avuto l’occasione di incontrare Gianluca Isaia, rappresentante dell’ultima generazione e attuale guida del gruppo Isaia, per…

Startmag ha avuto l’occasione di incontrare Gianluca Isaia, rappresentante dell’ultima generazione e attuale guida del gruppo Isaia, per confrontarsi sulle sfide della contemporaneità, dal rapporto della tradizione sartoriale con gli strumenti offerte dall’età digitale, alle sfide dei mercati globali. Una scoperta dei limiti tra tradizione ed innovazione, costituiti dal vincolo umano che lega ogni buon sarto al proprio cliente. Con Isaia abbiamo parlato di Sartoria 3.0 e non solo.

E’ possibile coniugare la tradizione sartoriale con gli strumenti offerti da Internet? Alcuni ad esempio hanno cercato di adattare la tradizione sartoriale con le innovazioni provenienti dal digitale. Per esempio, prendere in autonomia le misure…

Secondo me, è possibile ma non sino a questo punto. Il consumatore non può ordinarsi da solo l’abito su misura o scrivere delle misure in un’applicazione. Il rapporto personale con il sarto è ancora fondamentale. Certo, anche noi abbiamo un’app, ma l’app serve semplicemente come guida per i nostri sarti per prendere le misure sempre allo stesso modo, per avere un’uniformità di informazioni. Avendo diversi sarti che girano per il mondo per prendere le misure sul consumatore finale, è necessario per noi che determinate misure vengano prese dai nostri sarti tutte allo stesso modo. Lasciare al consumatore finale la possibilità di prendere le misure da solo e inviarcele è praticamente impossibile, quando si tratta di un abito di sartoria di lusso.

Qual è il rapporto di una realtà radicata con la tradizione con gli strumenti offerti da internet?

Noi siamo favorevolissimi alla vendita online, partiremo a settembre con un importante ciclo di vendita online ma sarà prevalentemente indirizzato verso quei clienti che già conoscono Isaia. Per quei clienti che conoscono già il nostro prodotto e ne conoscono la vestibilità. Porteremo così online camice, cravatte, giubbotti, maglie, le magliette. Noi siamo assolutamente attenti alle possibilità offerte da internet e vogliamo essere ‘multi-channel’. Ripeto, le misure non possono essere prese in autonomia dal consumatore tramite app, assolutamente no. E’ necessario il rapporto con il sarto.

Siete una realtà internazionale che esporta in tutto il mondo. La sartoria Made in Italy è tutt’ora apprezzata nonostante la concorrenza?

Tantissimo, tantissimo, tantissimo. Posso dire che noi più che esportare il Made in Italy siamo orgogliosi di esportare il Made in Napoli che per via della lunghissima tradizione sartoriale ha un particolare valore aggiunto.

Isaia
L’ultima campagna pubblicitaria di Isaia

Com’è stato il confronto con il mercato statunitense? Vi sono state particolari difficoltà rispetto all’Italia?

Per noi non cambia, noi abbiamo una società americana già dal 2005 e il rapporto con il cliente è abbastanza diretto anche lì. Il problema con l’Italia è semplicemente è un problema di mercato e di ‘crisi’. Le vendite sono diminuite sensibilmente esclusivamente per un problema di crisi e non di comunicazione. Il problema è legato al mercato interno, l’Italia è un paese decrescente dal 2009, ma a piccoli passetti…

…e con il resto dei mercati esteri?

Noi vendiamo molto di più all’estero, non abbiamo sentito troppo la crisi perché siamo stati capaci di sviluppare l’estero, ma le aziende italiane specializzate nella vendita in Italia sicuramente stanno soffrendo tantissimo.

Quali paesi raggiunge il Made in Napoli di Isaia?

In primo luogo Stati Uniti, paesi dell’ex Unione Sovietica, Giappone e adesso siamo partiti con il Medio Oriente, a parte Dubai che è un realtà intenazionale con una forte presenza russa, abbiamo cominciato con l’Arabia Saudita e anche il Kuwait.

Cosa pensa di chi delocalizza sedi e produzione alla ricerca di vantaggi economici?

Noi non abbiamo un prodotto che può essere sviluppato fuori, noi vendiamo nel nostro heritage e non possiamo assolutamente fare una scelta del genere. E’ un problema che non ci siamo mai posti.

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