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Giustizia Civile

Giustizia civile e Recovery Plan: che fare?

L'intervento dell'avvocato Angela Lupo

 

In attesa di un governo che gestisca 209 miliardi del Recovery Plan,  parlare di giustizia civile — e di come risolvere le annose questioni nel settore dei processi civili — sembra quasi inopportuno e fuori contesto. Non è cosi: una parte delle risorse dell’Ue saranno rivolte al sistema giustizia, risorse rivolte quindi a migliorare anche il comparto della giustizia civile, sviluppando un piano di riforme che possa rendere davvero efficiente la risposta giudiziaria in Italia.

Come già ricordato nel 2011 dal Governatore della Bce Mario Draghi, i ritardi della giustizia civile (il riferimento era all’attività giudiziaria) valgono almeno un punto di Pil all’anno. Più recentemente studi condotti dalla Banca d’Italia e dalla Confesercenti rivelano come un efficiente sistema giudiziario consentirebbe di recuperare dall’1% al 2,5% (22-40 miliardi circa) del Pil sollecitando così investimenti e attirando investitori esteri verso il nostro Paese.

L’Italia, tuttavia, ed in particolare il sistema giudiziario hanno dovuto fare i conti con un’emergenza pandemica che ha sconvolto il mondo intero. La pandemia, che piaccia o no, ha prodotto una prateria di colori e di abitudini variegate, una vita quotidiana diversa. Alla luce di quanto emerge da report e dati, nel corso della pandemia, il mondo della giustizia civile ha subito storici mutamenti.

La giustizia civile, da tempo ormai sclerotizzata e impaludata, con processi (tanti), lenti e di lungo corso, è stata letteralmente travolta e paralizzata decisamente dall’emergenza pandemica.

Il processo telematico, implementato nel 2014, che ha dato significativi benefici ma che spesso si scontra ancora con apparecchiature informatiche non efficienti, problemi di rete o personale non ancora del tutto formato per la trasmissione dei dati. Tutti a lamentarsi e a voler migliorare l’apparato della giustizia civile, ma, di fatto, nel corso della pandemia, è stato l’apparato che più ha sofferto per la paralisi totale degli uffici, nonostante la presenza pur di eccezionali magistrati e personale di cancelleria. Per tutti la pandemia ha fatto scoprire il web e le conference call, ma sono ancora tanti i magistrati e gli avvocati che vorrebbero “tornare alla normalità”, recandosi in loco, nel Palazzo di giustizia, per fare udienza dal vivo. A parte i protocolli Covid-19 da rispettare, verrebbe da domandarsi: come potrebbero essere smaltiti i processi civili accumulati del passato e quelli futuri senza concreti metodi di svolgimento delle udienze? Possono continuare ad essere chiamate — come già nel passato ante pandemia — 4 o 5 udienze tutte alla stessa ora con gli avvocati ad attendere fuori delle stanze dei giudici in barba al rispetto del distanziamento Covid-19? E non sarebbe più efficiente promuovere udienze da remoto, ad orario fisso, rispettando le tempistiche di dialogo e risolvendo le annose questioni della Rete e dei computer non adeguati?

Una giustizia civile lenta e paralizzata è una giustizia che non è giustizia.

Una giustizia civile lenta impoverirà ancor più quella parte di società civile che chiede “giustizia” e, nel contempo, renderà la classe degli avvocati senza futuro e senza dignità.

Troppo è ormai il tempo di associare la figura dell’avvocato a quella dell’azzeccarbugli di manzoniana memoria: i legali oggi si sono aggiornati e hanno sviluppato molte attitudini e molte ancora si potranno perseguire, ma non sono sempre rispettati nella loro professionalità, soprattutto dai clienti, incattiviti anche per la lungaggine dei processi civili. Il tempo lungo nel processo civile diventa un problema per il cittadino che vuole giustizia, per l’avvocato che lo assiste e per il magistrato che deve giudicare. Non vale più oggi, soprattutto in questo tempo di pandemia, l’antico brocardo “causa che pende, causa che rende”.

Una giustizia civile lenta e farraginosa significa povertà e poca cura della persona/cittadino: se si va sul sito del ministero della Giustizia, all’Osservatorio delle varie Corti d’Appello, alla voce “clearance rate”(la misura per analizzare a livello europeo e per monitorare la capacità dei sistemi giudiziari e dei singoli uffici), si potrà capire tutto ciò.

I clienti degli avvocati non sono numerini di una qualsivoglia statistica o report: dietro una vertenza o una causa c’è la persona che ha bisogno e che vuole “giustizia”, così come è persona e non azzeccagarbugli l’avvocato. Così come è persona il magistrato.

Che fare, dunque, per questa giustizia civile malata  non solo a causa del Covid-19?

Sulla scia di quanto già concepito dalla Commissione Ue (Digital Services Act), la risposta potrebbe essere solo una: digitalizzazione. E come si può digitalizzare la giustizia civile del Paese?

Non occorre riformare tutto l’impianto della giustizia, né mutare del tutto l’attuale organizzazione degli uffici; basta, piuttosto, concepire qualche piccola idea: Formazione 4.0 del personale di cancelleria e della magistratura; implementazione delle udienze da remoto con sistemi efficienti; uso diffuso degli strumenti stragiudiziali per la definizione di controversie; nuove possibilità all’avvocato per smaltire il contenzioso all’interno del processo civile; velocizzazione nelle comunicazioni di cancelleria con creazione di strumenti alternativi; da rinnovare istituti nel settore giuslavorista, societario e del recupero crediti con parziale riforma societaria e del codice di procedura civile.

Interventi mirati che abbiano come collante la digitalizzazione del settore giustizia.

Una giustizia civile che sa fare giustizia è il miglior bigliettino da visita per il nostro Paese e per le aziende (piccole e grandi) italiane.

Nella prassi commerciale spesso si vedono clausole di arbitrato: quante Pmi italiane possono sostenere i costi legali di un arbitrato? Per questo spesso si vedono tanti bravi imprenditori gettar la spugna pur di non avere giustizia civile per eventuali inadempimenti contrattuali.

Guardare al futuro della post pandemia significa risolvere i problemi del passato con le regole che si hanno, con gli arnesi che ci sono a disposizione: la cassetta degli attrezzi c’è — il Recovery Plan ma anche finanza e altro — ma sta al Paese e ad ogni cittadino cogliere l’attimo per ricostruire un Mondo Nuovo. Veicolare in modo virtuoso, perciò, quanto potrà giungere dal Recovery Plan ci renderà un Paese più efficiente, anche in tema di giustizia civile. L’emergenza pandemica impone un cambio di passo anche in un settore in cui l’Italia aveva già una strutturale lentezza: farsi trovare pronti per un cambiamento che è già iniziato — si pensi all’uso del digitale e dello smartworking — non farà che bene al Paese. E attirerà soprattutto investimenti verso l’Italia magari da una finanza (buona) che osserva, decide e premia. Potenziare la Formazione 4.0 nel comparto amministrativo della Giustizia Civile porterebbe a una semplificazione dei processi, a una migliore distribuzione delle risorse del personale.

D’altro canto, valorizzare il comparto dell’amministrazione della giustizia civile (e non solo), che ben vanta tanta presenza femminile, significherà anche esprimere al meglio la forza lavoro ma anche la relazione tra pubblico e privato, nel senso della collaborazione reciproca.

E che dire anche delle donne già presenti in numero cospicuo nel mondo dell’avvocatura e della magistratura: quale ulteriore valorizzazione potrebbero finalmente ricevere, rendendo ad esempio più fruibile il lavoro attraverso le tecnologie ed il digitale?

Se c’è maggiore organizzazione e se i rapporti di lavoro si svolgono all’insegna del rispetto e della ripartizione di tempi determinati grazie alle tecnologie, anche la vita, in famiglia e nel privato delle professioniste (ma anche dei professionisti), potrebbe ricevere nuovo impulso così da poter raggiungere, auguriamocelo per tante brave professioniste, traguardi apicali che ben aiuterebbero la vita sociale del Paese. Troppo spesso, in ambito civilistico sopratutto, si ritrovano colleghe che non riescono ad emergere a causa del troppo lavoro tra casa e famiglia: le tecnologie ben usate potrebbero invece costituire un trampolino di lancio anche in prospettiva di una vera uguaglianza sostanziale tra donne e uomini. E’ importante, dunque, che una parte delle risorse del Recovery Plan possa essere destinata e spesa bene per migliorare il comparto della giustizia civile: ammodernare i processi, formare il personale, rendere possibile ai cittadini, alle imprese e agli avvocati e alle avvocate una giustizia più celere con personale preparato (cancellerie e magistrati) e informatizzato.

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