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Ecco chi difende davvero Tria dai grilli di Luigi Di Maio

Sotto la scorza del tecnico, preso di mira dai grillini smaniosi di strappargli numeri, numeretti, decimali e quant’altro per finanziare i loro generosi progetti di spesa ed eliminare addirittura la povertà, riuscendo dove hanno fallito fior di rivoluzionari, il ministro dell’Economia Giovanni Tria nasconde le qualità di un politico di prim’ordine: un professionista della materia.

Mentre il vice presidente pentastellato del Consiglio Luigi Di Maio, amici e colleghi di partito vergavano dichiarazioni e comunicati contro di lui minacciando di non votargli i documenti finanziari e costringerlo alle dimissioni, il ministro ha ricordato un passaggio istituzionale che lo accomuna ai suoi critici: il giuramento prestato al Quirinale il 1° giugno scorso davanti al presidente della Repubblica. Lo ha fatto quasi per ripararsi dietro lo scudo del capo dello Stato, di cui immagino l’apprensione, l’imbarazzo e non so cos’altro di fronte a ciò che sta accadendo a Palazzo Chigi e dintorni.

In particolare, il professore Tria ha ricordato di avere giurato di lavorare al governo “nell’interesse esclusivo della Nazione”, non di una parte politica. E lo stesso hanno fatto tutti gli altri esponenti della compagine ministeriale, a cominciare dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dai suoi due vice Di Maio e Matteo Salvini.

Dell’interesse “esclusivo” della Nazione, della solidità dei suoi conti, del rispetto degli impegni assunti in sede europea e oltre, della difesa del risparmio, peraltro invocata dal presidente della Repubblica nella scorsa primavera per rivendicare durante la crisi di governo le sue prerogative proprio nella nomina del ministro dell’Economia, “ognuno può avere -ha detto Tria- la sua visione, ma in scienza e coscienza bisogna cercare di interpretare bene questo mandato”.

Chi stia interpretando e gestendo meglio il mandato di governo fra il ministro dell’Economia difendendo o e gli altri assaltando la cassaforte dello Stato, imbottita di soldi presi in prestito sui mercati finanziari ad un costo che salirà quanto più crescerà il disavanzo, lo giudicheranno alla fine gli elettori, quando e se avranno occasione di pronunciarsi. Ma prima ancora degli elettori il giudizio toccherà al capo dello Stato se il braccio di ferro fra Tria e i suoi colleghi di governo sfocerà nelle dimissioni del primo e nell’apparente vittoria degli altri. Toccherà allora al capo dello Stato decidere se Tria potrà essere sostituito con un altro disposto a concedere di più, propostogli dal presidente del Consiglio fra una preghiera e l’altra a Padre Pio, di cui l’avvocato è notoriamente devoto, o se si dovrà entrare nel tunnel di una crisi di governo.

Il mai abbastanza compianto Ennio Flaiano, che pure non poteva certo immaginare un governo capace di perdere per strada decreti approvati per finta, “salvo intese”, è famoso per avere parlato di “situazione politica in Italia grave ma non seria”. Chissà che cosa direbbe oggi.

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