Non è la prima volta che il sovranista Matteo Salvini, vicepremier e ministro dei Trasporti, mette da parte l’orgoglio italiano e si lascia sedurre dal fascino delle auto made in China. Era già accaduto nel giugno del 2023 quando visitò gli stabilimenti molisani di Dr Automobiles Groupe: “è un’azienda straordinaria perché già fare impresa in Italia è cosa notevole vista la burocrazia, farlo in Molise vale doppio”, aveva affermato. “Questo vale per la dr Automobiles o per la Molisana, perché qua ci sono costi notevoli di trasporto, di logistica, di trasferimento del prodotto ai consumatori”, l’entusiastica dichiarazione del segretario dl Carroccio. Esattamente 12 mesi dopo l’Antitrust avrebbe sanzionato per 6 milioni di euro il marchio per avere indicato l’Italia come origine e luogo di produzione delle auto commercializzate omettendo la provenienza cinese dei modelli.
SALVINI ELOGIA PURE BYD
Nelle ultime ore hanno fatto particolarmente rumore le dichiarazioni che il ministro dei Trasporti ha fatto con riferimento alle auto cinesi, arrivando a indicarle come “migliori” rispetto a quelle prodotte qua nel Vecchio continente. Fin qui non ci sarebbe nulla di strano: se l’asserzione fosse stata espressa in tali termini sarebbe ricaduta nell’alveo degli avvertimenti circa la baldanza della concorrenza asiatica, insidiosissima tanto più in questo esatto momento storico, data la crisi che attanaglia le maggiori Case europee (anche per demeriti di Bruxelles, bersaglio prediletto del leader leghista).
Il problema è che la dichiarazione di Salvini raccolta dalla testata di settore AutoMoto.it è andata oltre e viene ricondotta non genericamente alle ‘auto cinesi’, ma a un marchio specifico, Byd: “Fino a poco tempo fa diceva poco o niente e adesso ha migliaia di ingegneri impegnati in ricerca e sviluppo che hanno modelli che costano meno e sono tecnologicamente e anche esteticamente spesso più avanzati di alcuni modelli prodotti in Europa”, le parole del segretario federale della Lega.
Passi il giudizio, molto personale, sul fatto che le auto cinesi siano siano migliori anche dal punto di vista “estetico” (se è infatti indubbio che Pechino ha maturato un know-how oggi insuperabile sul fronte tecnologico, è comunque piuttosto difficile affermare che il design europeo soccomba ugualmente nella sfida con la Cina) ma si tratta di dichiarazioni di peso, specie data la provenienza leghista-sovranista delle stesse, che vengono inoltrate direttamente a una azienda specifica, Byd, qui in Europa guidata da un top manager italiano, Alfredo Altavilla (ex Ita ma soprattutto ex Fca).
L’INCONTRO ESTIVO TRA SALVINI E BYD
Non si dimentichi che lo scorso luglio proprio l’incontro con il costruttore automobilistico del Dragone era stato uno delle tappe della missione cinese di Matteo Salvini: “A Pechino il vicepresidente e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, ha incontrato i vertici del gruppo automobilistico Byd, leader cinese e mondiale nella produzione di veicoli elettrici”, recitava la nota del dicastero vergata in quell’occasione.
Sempre da fonte ministeriale si apprendeva che “Il ministro Salvini ha evidenziato le potenzialità del contesto italiano auspicando il rafforzamento della presenza del gruppo in termini produttivi oltre che distributivi.” Non è un mistero che Byd sia insomma tra le Case automobilistiche cinesi da tempo corteggiate dal governo Meloni affinché impiantino nel nostro Paese poli produttivi.
Richieste che si sono fatte via via più pressanti con la diminuzione verticale della produzione negli impianti italiani di Stellantis, ormai ai minimi storici. Se il Gruppo guidato da John Elkann e Antonio Filosa si allontana sempre più dal target del milione di auto sfornate in Italia, serve qualcuno che ci metta la differenza, il ragionamento di Palazzo Chigi.
IL GOVERNO MELONI CORTEGGIA LE CINESI…
Si era parlato di un dialogo portato avanti pure con Chery, mentre il ministro per il Made in Italy Adolfo Urso compiendo una notevole acrobazia linguistica (“In questa fase geoeconomica le case automobilistiche cinesi producendo in Europa, per il mercato europeo, potrebbero essere definite Made in Italy in quanto utilizzano la componentistica italiana e il lavoro italiano”) aveva in diverse occasioni coccolato Dongfeng, azionista di Stellantis con l’1,5 per cento del capitale e fornitrice della molisana Dr.
…CHE SGOMMANO ALTROVE, DALLA SPAGNA ALL’UNGHERIA FINO ALLA TURCHIA
Le trattative con le tre Case cinesi però sembrano essersi arenate: di hub italiani nemmeno l’ombra, questo nonostante siano numerose le aziende di Pechino e dintorni, a iniziare proprio da Byd, che nel mentre hanno avviato lavori per la costruzione di impianti europei.
All’interno della zona Ue l’Italia è stata sorpassata dall’Ungheria di Viktor Orban che con la Cina ha rapporti ancora più saldi dai tempi della Nuova via della seta, come pure dalla Spagna, particolarmente attraente grazie ai fondi del Pnrr messi nel settore auto.
Fuori dall’Europa, Byd e Chery hanno invece puntato sulla Turchia, che permette di avviare l’export di auto cinesi in Europa senza essere bersagliati dai dazi che la Ue ha imposto sulle auto elettriche che arrivano direttamente da Pechino.
IL GOVERNO HA SBANDATO APPOGGIANDO I DAZI UE?
Proprio i dazi europei chiesti da Bruxelles, voluti e votati dall’Italia, con ogni probabilità hanno reso più difficile il dialogo tra Italia e Cina sulla costruzione di impianti nel nostro Paese.
Non c’è nulla di ufficiale, ma pare che Pechino abbia impedito alle sue Case di investire nei Paesi favorevoli al nuovo balzello doganale: si spiegherebbe perché Leapmotor, azienda asiatica distribuita nel resto del mondo da Stellantis, non abbia voluto produrre i suoi modelli per l’Europa in Polonia, che aveva votato sì ai dazi, costringendo il Gruppo italo-francese a dirottare la produzione in Spagna, che in sede comunitaria si era invece rivelata un alleato fedele alla causa cinese.
It would be a pleasure and an honor 🇮🇹
For you the doors of my ministry are always open. https://t.co/LYZSU6iXjK— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) November 19, 2022
QUANDO SALVINI CORTEGGIAVA L’AUTO EV AMERICANA E OSTEGGIAVA LA CINA
Si tratta ovviamente di indiscrezioni che la Cina difficilmente confermerà. Quel che è certo, è che sono ormai lontani i tempi in cui Matteo Salvini spalancava le porte al costruttore americano Tesla, sperando in investimenti di Elon Musk per la costruzione di un polo produttivo per l’auto elettrica sulla falsariga della gigafactory vicina a Berlino.

E risultano ancora più lontani quelli in cui su Facebook e davanti all’ambasciata cinese il segretario federale leghista indirizzava parole di fuoco a Pechino (“L’ambasciata cinese non si azzardi a paragonare la Cina all’Italia. A Pechino non esistono partiti alternativi a quello comunista, l’opposizione è imbavagliata, a Hong Kong vengono arrestati perfino i ragazzini con inaudita violenza”). Il post, ancora visibile su Google, nel frattempo è stato rimosso. Accadeva cinque anni fa, nel luglio 2020, un’altra era viste le frenetiche evoluzioni della politica nostrana, la sola forse a correre più delle irraggiungibili auto cinesi.







