Il motore economico della Germania, si sa, singhiozza e tossisce da tempo. Una situazione a tratti inedita (che sta richiedendo alla politica azioni altrettanto inusuali, per esempio sull’indebitamento) ben rappresentata anche dalla profonda crisi vissuta dalle aziende dell’automotive: non solo quelle autoctone, ma anche quelle estere. Come per esempio Ford, sesto costruttore al mondo, che proprio nel Paese, per la precisione a Colonia, aveva investito 1,8 miliardi di euro per la produzione di veicoli elettrici, tra cui le suv elettriche Explorer e Capri (a proposito: curioso che quest’ultima non sia finita nel mirino del Mimit nonostante contravvenga le norme sull’Italian sounding, per seguire la logica delle accuse mosse all’Alfa Romeo Milano polacca).
LA CRISI DELL’AUTO ELETTRICA RALLENTA FORD A COLONIA
Un investimento ex post piuttosto sbagliato. Le auto elettriche, è noto, non si vendono. E, come se non bastasse, quelle linee non hanno più sfornato la vendutissima Fiesta, mentre l’intero comparto europeo dell’automotive nell’ultimo periodo ha rallentato, con l’Ovale Blu che nel 2024 ha venduto in Europa 309.441 vetture, contro le 348.679 del 2023, per un rallentamento del 13,7%. E i primi sei mesi del 2025 non hanno segnato l’attesa ripartenza: 133.919 unità contro le 136.639 dello stesso periodo del precedente anno (-2%).
A novembre 3mila dipendenti dell’impianto renano erano stati messi in cassa integrazione così da anticipare le ferie natalizie con una produzione che ha proceduto a singhiozzo per buona parte dell’autunno. “La domanda di veicoli elettrici è significativamente inferiore alle aspettative, soprattutto in Germania, e richiede un temporaneo adeguamento dei volumi di produzione a Colonia”, avevano spiegato dal gruppo.
I NUOVI INVESTIMENTI E LE USCITE VOLONTARIE
A inizio anno dall’altra parte dell’Oceano hanno promesso alla controllata europea 4,4 miliardi, soldi necessari in parte a ridurre il debito, in parte a supportare la ristrutturazione. In cambio bisogna però agire sulle spese. A Dearborn, in Michigan, infatti pretendono un riassetto votato al risparmio.
Già lo scorso autunno l’Ovale Blu aveva annunciato la necessità di tagliare almeno 4mila posti di lavoro, al di qua e al di là della Manica (800 nel Regno Unito, 300 in altri Paesi dell’Unione e la quota maggiore in Germania). Un piano che ora inizia a prendere corpo. Nei giorni scorsi, il costruttore ha presentato una proposta che fa perno sulle dimissioni volontarie che dovrebbe portare, da qui al 2032, al taglio di circa 2.900 posti di lavoro sui 10 mila attuali.
QUALE FUTURO DOPO LA FOCUS?
L’accordo, che dovrà essere ratificato dal voto dei lavoratori (ma è già stato di fatto accettato dal potente sindacato IG Metall che ha promosso soprattutto le indennità messe sul tavolo, superiori alla media del settore metalmeccanico), prevederà anche la possibilità di scambiare il proprio posto con quello di eventuali colleghi impiegati altrove disposti ad accettare la buonuscita.
Ma l’attenzione dei rappresentanti dei lavoratori si concentra pure su Saarlouis che attualmente lavora alla Focus destinata a uscire di scena: si parla già di 2.700 posti in meno nella speranza che nello stabilimento restino un migliaia di dipendenti. Sono tanti i modelli di punta, dalla Ka, alla Mondeo, fino alla Fiesta (volendo si potrebbero aggiungere anche la S-Max e la Galaxy benché non abbiano avuto la medesima penetrazione di mercato) arrivati da tempo a fine corsa che attendono eredi degni di tal nome. E la Focus rischia di essere solo l’ultimo esponente di una lista sempre più lunga.