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Il Campo è largo solo sul Gay Pride?

Le immagini della compattezza al Gay Pride di Budapest fanno a pugni con i sondaggi in calo per le opposizioni. La nota di Sacchi

Il campo largo si ritrova tutto unito per una volta. Ma a Budapest. E solo sul pur importante tema dei diritti.

Divisi sulla politica estera, su questioni dirimenti come la difesa dell’Ucraina, sul Medio Oriente, sulla politica di difesa e anche su quella economica come dimostra l’incredibile diversità di scelte ai recenti referendum, Pd, Cinque Stelle, Avs con l’aggiunta stavolta dei piccoli centri di Matteo Renzi e Carlo Calenda a Budapest però si ritrovano tutti insieme, come è accaduto nel fine settimana, contro il premier ungherese Victor Orban. Sfilano in un Gay Pride in cui Elly Schlein e esponenti dem come Alessandro Zan lanciano accuse anche al governo italiano di Giorgia Meloni.

Fallita la spallata referendaria all’esecutivo dopo la clamorosa sconfitta del 9 giugno che ha visto la stragrande maggioranza degli italiani (sotto il 30 per cento la quota di elettori) disertare le urne, ora il cosiddetto campo largo sembra voler vincere sul piano mediatico in trasferta. La delegazione delle opposizioni italiane, raccontano le cronache, sembra sia stata la più numerosa.

Ma le immagini della compattezza solo a Budapest fanno a pugni con i numeri degli elettori che le opposizioni perdono nei sondaggi. Mentre il centrodestra sale del 2,4 per cento, la sinistra scende all’opposto del 2,2 per cento. È il risultato dell’ultima rilevazione dell’Ipsos di Nando Pagoncelli, pubblicata sabato scorso sul Corriere della sera. Gli elettori dunque non sembrano premiare un cartello di opposizioni che si riunisce solo sul tema dei diritti. Tema sul quale peraltro c’è da tenere conto anche delle sensibilità cattoliche che guardano a sinistra. L’immagine delle opposizioni che ripartono da Budapest, dalla marcia del Gay Pride, la cui delegazione italiana appare capitanata da Schlein, non sembra essere il modello del fronte alternativo destinato a tornare a vincere. E il giorno dopo Budapest, non riferita alla marcia del Gay Pride, ma in un discorso in generale sullo stato dell’arte della sinistra, arriva la doccia gelata di Romano Prodi.

“La sinistra non si occupa più dei problemi della gente”. A dirlo non è un leader del centrodestra. Ma l’ex capo del centrosinistra vincente con l’Ulivo e poi l’Unione, l’ex presidente del Consiglio e ex presidente della Commissione Ue, Romano Prodi, nel corso dell’incontro “Le crisi mondiali e l’Europa”, in un’intervista-dialogo con Andrea Malaguti, direttore del quotidiano La Stampa, a Torino. Prodi sottolinea: alle prossime elezioni “non so chi vince, non so cosa faranno Conte e Schlein, non capisco più. Io sono solo un riformista, un libero pensatore. Non sono mica il Pd”.

Quanto ai referendum, per Prodi “non si capivano le domande” ed è stato “un miracolo che abbiano votato 14 milioni di persone”. Suona come una frustrata all’offensiva dirittista e massimalista di un campo largo, che, a dispetto del nome, sembra destinato a non fare più centro.

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