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Astrazeneca cina

Le cinesate di AstraZeneca faranno arrabbiare Trump?

Solo nel 2025, AstraZeneca ha inaugurato un nuovo centro da 2,5 miliardi di dollari a Pechino e stretto un accordo da 5,2 miliardi di dollari con un gruppo cinese, nonostante le pressioni di Trump contro gli investimenti occidentali in Asia. Fatti, numeri e commenti

 

AstraZeneca, gigante britannico del settore farmaceutico, ha costruito negli ultimi decenni una solida presenza in Cina. Presente nel Paese da oltre 30 anni, è oggi il più grande produttore di farmaci sul mercato cinese. Negli ultimi anni, l’azienda ha scelto non solo di consolidare, ma di espandere significativamente le sue attività nel territorio, rafforzando la sua rete di ricerca, produzione e partnership locali. Anche recentemente, nonostante le pressioni del presidente Donald Trump a investire negli Stati Uniti e a isolare la Cina.

LE ULTIME CINESATE DI ASTRAZENECA

Nel marzo 2025, AstraZeneca ha inaugurato un nuovo centro da 2,5 miliardi di dollari a Pechino, una delle sue più grandi strutture fuori dal Regno Unito. Allora, ricorda il Guardian, la società quotata più preziosa del Regno Unito, stava anche firmando due accordi di collaborazione e licenza con le cinesi Harbour BioMed per la scoperta di anticorpi multi-specifici e Syneron Bio per lo sviluppo di peptidi macrociclici, considerati una possibile nuova frontiera nello sviluppo di farmaci di prossima generazione. Un terzo accordo con un’azienda locale, inoltre, aveva portato alla creazione di una nuova joint venture con BioKangtai, con l’obiettivo di sviluppare, produrre e commercializzare vaccini innovativi contro le malattie respiratorie e altre malattie infettive, sia per i pazienti cinesi che per quelli a livello globale.

In quell’occasione, AstraZeneca aveva aggiunto che queste iniziative rientrano nel suo piano per quasi raddoppiare i ricavi globali, passando da circa 45 miliardi di dollari nel 2023 a 80 miliardi nel 2030, e per lanciare 20 nuovi farmaci entro la fine del decennio.

Infine, un recente accordo strategico con il gruppo cinese CSPC Pharmaceuticals, del valore potenziale di 5,2 miliardi di dollari conferma la volontà dell’azienda di radicarsi ulteriormente nel sistema farmaceutico cinese.

L’AMORE DI SORIOT PER LA CINA

Il Ceo di AstraZeneca, Pascal Soriot, non ha mai nascosto il suo entusiasmo per le potenzialità del mercato cinese. Intervenendo al Boao Forum in Cina, ha definito il Dragone una delle due grandi potenze dell’innovazione farmaceutica, al pari degli Stati Uniti. Ha anche lodato il Paese per i suoi progressi in ambiti ad alta innovazione come le terapie cellulari e i coniugati anticorpo-farmaco. “Credo che la Cina, nei prossimi 5-10 anni, emergerà davvero come una forza trainante per l’innovazione nel nostro settore”, ha detto.

Secondo Soriot, l’impegno in Cina è una risposta concreta al dinamismo e alla crescente apertura del governo cinese nei confronti della ricerca e dello sviluppo farmaceutico e, dunque, “è importante per noi rimanere fortemente impegnati qui”.

SFIDA A TRUMP

Questa crescente vicinanza tra AstraZeneca e la Cina, però, non passa inosservata a livello internazionale. Negli Stati Uniti, Trump ha infatti assunto una posizione apertamente ostile verso le aziende occidentali che investono nel gigante asiatico e il suo approccio “America First” si è tradotto in pressioni sulle multinazionali affinché riportino posti di lavoro e produzione in patria.

Nei suoi primi mesi di mandato, Trump ha minacciato di imporre dazi sui farmaci prodotti in Cina e ha persino esercitato pressioni su Apple affinché abbandonasse la produzione nel Paese. Il messaggio è chiaro: ogni dollaro investito in Cina da un’azienda occidentale è percepito come una perdita strategica per gli Stati Uniti.

Anche se AstraZeneca non esporta direttamente farmaci tra Stati Uniti e Cina, l’attenzione politica americana verso le attività internazionali delle aziende farmaceutiche resta alta e la crescente imprevedibilità del contesto geopolitico costringe le multinazionali a muoversi con cautela per evitare ripercussioni.

UN FRAGILE EQUILIBRIO GEOPOLITICO

Per AstraZeneca, gestire i rapporti con le due superpotenze richiede equilibrio. Negli Stati Uniti, l’azienda genera circa il 42% dei suoi ricavi, e ha investito nel 2024 ben 3,5 miliardi di dollari per ampliare strutture di ricerca e produzione, osserva The Telegraph. Tuttavia, la Cina offre un’opportunità unica di crescita, sia in termini di volumi che di accesso a una popolazione vasta e in rapido invecchiamento.

Analisti come Ketan Patel, gestore di fondi di Whitefriars, sottolineano come l’azienda si trovi a dover “camminare su un filo”, per evitare sanzioni o reazioni negative da parte delle autorità americane. La sua strategia di rimanere “neutrale” si fa sempre più difficile da sostenere.

Ad aprile, comunque, l’azienda aveva dichiarato che, per contrastare l’impatto dei dazi, stava trasferendo la produzione di alcuni farmaci destinati al mercato statunitense dall’Europa agli Stati Uniti, dove già produce la maggior parte dei farmaci venduti negli Usa.

GUAI IN CINA

Anche in Cina, tuttavia, non fila tutto liscio. A fine 2024, Leon Wang, presidente di AstraZeneca per la Cina, è stato arrestato dalle autorità locali nell’ambito di un’indagine sulle attività aziendali. Ancora oggi si trova in stato di detenzione e l’azienda ha dichiarato di non essere riuscita a mettersi in contatto con lui. Il caso ha sollevato dubbi sulla trasparenza e sulla sicurezza operativa per le multinazionali nel Paese.

Al contempo, più di 100 ex membri del team vendite sono stati incarcerati per presunte frodi assicurative. Inoltre, le autorità cinesi stanno indagando su presunte importazioni illegali di farmaci non approvati, con AstraZeneca che rischia sanzioni da milioni di dollari.

ETICA E PRESENZA GLOBALE: RESTARE O RITIRARSI?

Nonostante i rischi legali e reputazionali, AstraZeneca continua a difendere la sua presenza in Cina come scelta etica e strategica. L’azienda sottolinea il suo ruolo di fornitore di medicinali salvavita e la responsabilità di operare ovunque ve ne sia bisogno. Un principio che ha applicato anche in Russia, dove ha mantenuto le operazioni nonostante il conflitto in Ucraina.

Tuttavia, alcune organizzazioni, tra cui Amnesty International, hanno sollevato perplessità su cosa significhi, nella pratica, operare in contesti con gravi restrizioni sui diritti umani e sulla trasparenza giudiziaria.

Il futuro dei rapporti tra AstraZeneca e la Cina resta quindi incerto ma cruciale, diviso tra rischio e opportunità. Da una parte, infatti, Pechino rappresenta un motore di crescita farmaceutica con oltre 200 progetti in sviluppo e 100 nuovi farmaci previsti nei prossimi cinque anni. Dall’altra, le tensioni geopolitiche e i vincoli normativi impongono all’azienda di muoversi con estrema cautela.

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