Skip to content

Come farà l’Italia a raggiungere il 5% delle spese per difesa e sicurezza? Stime e analisi

Che cosa dicono analisti e osservatori sul raggiungimento del 5% delle spese in difesa e sicurezza deciso dai Paesi Nato La carta del Ponte per l'Italia... Fatti, numeri e approfondimenti

Giorgia Meloni, alla fine del vertice Nato dell’Aia che ha deciso per l’aumento delle spese nella Difesa al 5% del Pil, ha definito l’impegno “significativo, ma sostenibile”. L’Italia, che soltanto quest’anno – forse – riuscirà a raggiungere il 2% in spese militari, ora ha quindi un altro obiettivo: il 3,5% in spese sulla Difesa e un altro 1,5% legato a investimenti sulla sicurezza e sul dual use. Da raggiungere in 10 anni, da qui al 2035. Lo stesso sarà fatto dagli altri paesi europei e occidentali, sferzati da Donald Trump a pagare di più e a contribuire maggiormente all’Alleanza Atlantica.

I CONTRIBUTI DEI PAESI NATO

Come ricorda La Stampa, “dei 1360 miliardi di euro investiti in campo militare dai paesi Nato nel 2024, quasi 900 miliardi arrivano dalle casse degli Stati Uniti che ora vogliono un riequilibrio”. Perché “il contributo pro-capite di ogni cittadino americano alla Difesa è di 1394 euro l’anno, mentre quello dei cittadini italiani è di 540 euro”. L’obiettivo sarà quello di aumentare a 2500 miliardi di euro ogni anno la spesa totale di tutti gli stati membri, ha calcolato il quotidiano del gruppo Gedi. Da qui, la necessità di alzare l’asticella per gli europei.

Alcuni già lo hanno fatto negli ultimi anni, come la Polonia o i paesi scandinavi. Altri, come la Germania, più recentemente. Berlino, infatti, “ha appena varato l’aumento di due terzi del suo bilancio militare in 4 anni. Gli stanziamenti saliranno da 95 miliardi a 162 nel 2029. In breve, Berlino passerà dall’attuale 2,4% del Pil di spese militari al 3,5% nel 2029, con sei anni di anticipo rispetto alla scadenza Nato del 2035, in parallelo a investimenti dell’1,5% nelle infrastrutture di supporto”, spiega Adriana Cerretelli sul Sole 24 Ore. Gli altri paesi principali, come la Francia di Emmanuel Macron “dal 2 arriverà al 3-3,5% nel 2030”. Mentre “la Gran Bretagna di Keir Starmer punta al 2035 per fare il 5%”, chiosa l’editorialista ed esperta di questioni europee del quotidiano confindustriale.

COSA FARÀ L’ITALIA SULLA DIFESA

E poi c’è l’Italia. Meloni è stata chiara: “Abbiamo fatto i nostri calcoli e per il 2026 non riteniamo che ci serva utilizzare la escape clause”. Cioè la clausola di salvaguardia del Patto di Stabilità Ue. Sempre secondo il Sole 24 Ore, “serviranno in media 4-5 miliardi l’anno” per portare le spese prettamente legate alla Difesa dal 2 al 3,5% del Pil. L’ulteriore 1,5% del Pil per la sicurezza si raggiungerà “attraverso il computo di stanziamenti già programmati, dalle infrastrutture allo spazio”. Il quotidiano economico sottolinea il piano italiano, almeno a breve termine: “L’Italia conta di disporre per il primo anno di un margine di circa 4 miliardi, cioè quello 0,2% di Pil che secondo i calcoli della Commissione Ue nel pacchetto di primavera separa la spesa primaria netta registrata dall’Italia dalla traiettoria concordata con Bruxelles nel Piano di bilancio”.

IL PONTE A DIFESA?

Il Ponte sullo Stretto, secondo il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, può essere considerato una spesa per la difesa. «Secondo me sì, perché – ha affermato nei giorni scorsi a margine del Business Forum Italia-India – il sistema infrastrutturale è fondamentale per garantire la sicurezza anzitutto dei cittadini. La Sicilia è in mezzo al Mediterraneo, ci sono importanti basi Nato, certo avere un sistema infrastrutturale più efficiente che unisca la Sicilia al resto dell’Europa significa anche rinforzare la sicurezza. Questo è quello che penso io, poi bisogna discuterne con i nostri interlocutori, la partita è aperta e faremo valere anche le nostre idee».

LE STIME DELL’IMPATTO SULLE FINANZE PUBBLICHE DELL’OSSERVATORIO MILEX

Diverso, e più alto, il conteggio fatto dall’Osservatorio Milex, che si concentra soprattutto su quel 3,5% di spese puramente militari, partendo da quello che è l’ultimo dato ufficiale di spesa in Difesa per l’Italia, fermo tra l’1,5 e l’1,6% del Pil. “L’Italia, per portare in dieci anni la spesa militare annua dagli attuali 35 miliardi agli oltre 100 miliardi, cioè per triplicarla, dovrà reperire ogni anno in manovra nuove risorse finanziarie nell’ordine dei 6-7 miliardi, ogni anno per dieci anni”, spiega l’Osservatorio. E quindi: “Questo si traduce in un impegno cumulativo decennale di spesa di quasi 700 miliardi di euro, circa 220 miliardi in più rispetto a quello che si spenderebbe in dieci anni se invece del 3,5% si puntasse a raggiungere il 2% in spese militari ‘core’, con aumenti di spesa annuali medi nell’ordine dei 2 miliardi”.

COME FINANZIARE LE NUOVE SPESE

Miliardo più miliardo meno, il punto sarà come finanziare gli impegni e gli investimenti economici richiesti dalla Nato a lungo andare. Specie per quei paesi, come l’Italia, che non hanno margini fiscali. “La risposta di von der Leyen e Kallas sta nel prossimo quadro finanziario pluriennale. La Commissione proporrà di affrontare ‘la necessità di un finanziamento sostanziale per la difesa negli anni a venire attraverso una finestra dedicata del Fondo per la competitività europea per Resilienza, Difesa e Spazio’. Non viene menzionato alcun ammontare”, spiega David Carretta, corrispondente di Radio Radicale da Bruxelles, nel suo Mattinale Europeo. Aggiungendo: “Nella bozza di conclusioni del Consiglio europeo, alcune delegazioni sono riuscite a inserire una frase sulla necessità di lavorare a ‘opzioni di finanziamento’. Giorgia Meloni, Emmanuel Macron e Pedro Sanchez dovrebbero insistere sulla richiesta di uno strumento di debito comune. Ma non c’è ancora l’unanimità per l’opposizione di Germania e Paesi Bassi”.

IL LUNGO ORIZZONTE E IL COMPROMESSO POLITICO

Ad ogni modo, l’obiettivo ormai è fissato. Per la Nato e per l’Italia. Il target del 2035 permetterà ai paesi membri “di alzare progressivamente la spesa in Difesa, senza eccessivi scossoni e squilibri. Anzi, al 2029 viene fissata una ‘review’: Trump a quel punto non ci sarà più e, forse, anche il contesto di minaccia potrebbe essere cambiato e più ‘benigno’”, spiega Pietro Batacchi, direttore di Rivista Italiana Difesa. Che quindi ipotizza anche un potenziale passo indietro tra qualche anno o quantomeno un aggiornamento degli obiettivi di spesa, sempre in caso di contesto favorevole. E per Batacchi, essendo “la Nato prima di tutto un’organizzazione politica” che deve fare sintesi, “per l’Italia e per tutti gli altri paesi con deficit e debito pubblico strutturalmente alti questa progressività è sicuramente un successo”.

Torna su