Colpo di scena. Quel profeta disarmato del Pd, della sinistra, del cosiddetto campo largo dell’alternativa al governo che Goffredo Bettini era considerato, o si lasciava considerare con un certo compiacimento, si è armato. E, per l’argomento che ha voluto trattare sul Foglio scrivendo della riforma costituzionale che ha ripreso il suo percorso nell’aula del Senato, comprensiva della separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri, si è armato di una bomba metaforicamente atomica. Lanciata sulla sua parte politica barricata all’’opposizione nella previsione di un disastro, con la magistratura indebolita nel suo complesso o, peggio ancora per i promotori, rafforzata proprio nella parte della pubblica accusa che il governo vorrebbe penalizzare e ridurre sotto il suo controllo. Negato dal ministro della Giustizia ed ex pubblico ministero Carlo Nordio. O “mezzo litro” come viene sfottuto sul Fatto Quotidiano nella presunzione di offenderlo. Nordio invece ne sembra divertito, tanto più alto è il suo livello di cultura e di ironia rispetto a chi pensa forse di intimidirlo insultandolo.
Ma torniamo a Bettini e al suo giudizio sulla separazione delle carriere giudiziarie maturato grazie ai suoi ricordi di infanzia e adolescenza del padre avvocato e degli amici che lo frequentavano a casa, compreso il repubblicano Oronzo Reale che fu anche più volte ministro della Giustizia. Rigorosamente astemio, credo. “Non si tratta -ha scritto Bettini- di fare la guerra ai magistrati, come troppo spesso avviene nella polemica pubblica. Ma di rimettere al centro il principio di equilibrio. Come nella nostra Costituzione. Come nella grande lezione del liberalismo di sinistra. Come ci ha insegnato Montesquieu, il quale temeva un potere giudiziario stabile, organizzato, chiuso, permanente. Lo voleva invece intermittente, aperto, invisibile”.
A proposito di invisibilità e del suo opposto che è la visibilità, per giunta ostentata mediaticamente, politicamente e persino sindacalmente, con un ampio repertorio di manifestazioni comprensivo anche dello sciopero, non so francamente se la bomba di Goffredo Bettini sia caduta più clamorosamente sul suo partito o sull’associazione nazionale dei magistrati. Rispetto alla quale il Pd, ma non solo quello attualmente guidato dalla segretaria Elly Schlein, è una specie di sogliola. Un po’ come l’imputato nel processo in regime di carriera unica, come il padre di Bettini spiegava al figlio consentendogli oggi di scrivere: “Il potere giudiziario è sempre un potere, e come tutti i poteri ha bisogno di contrappesi, di cautele, di consapevolezza dei propri limiti. Il giudice nel processo rappresenta lo Stato. L’imputato è solo. La sproporzione di forza è immensa”.