È troppo presto naturalmente per dare una valutazione completa dei fatti, delle cause e delle conseguenze.
Quello che si può dire è che il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha trovato un altro modo per distogliere l’attenzione dal resto dei problemi di Israele. Probabilmente cerca di adottare una tattica simile a quella usata da Donald Trump a Los Angeles: alimentare la tensione spingere l’Iran a reagire molto violentemente e coinvolgere gli Stati Uniti.
Stati Uniti che per ora sembrano intenzionati a restare spettatori, anzi a continuare i negoziati proprio sul nucleare iraniano direttamente con il governo iraniano; a meno che, è stato detto, non si debba intervenire per difendere la sopravvivenza di Israele.
Vedremo.
Ovviamente la reazione di Washington è decisiva per capire come andranno le cose, ma non è la sola che conta. Bisognerà vedere come risponderanno gli altri paesi arabi, i quali sono tutti diversi, divisi e in competizione fra loro, e quindi potrebbero anche avere risposte diverse; bisognerà anche vedere come risponderà la popolazione israeliana, da due anni e mezzo impegnata in una guerra senza fine e in un inedito momento di debolezza diplomatica del paese.
Si potrebbe dire che, malgrado l’esibizione dei muscoli, Israele non è mai stata così debole, sul piano interno e sul piano internazionale.
Bisogna anche tener presente un altro aspetto che è tutt’altro secondario, naturalmente: la reazione dell’Iran.
Come c’era da aspettarsi, il regime ha reagito con le solite fanfaronate sulla vendetta e sulla prossima distruzione di Israele; ha già lanciato una serie di droni che saranno sicuramente tutti abbattuti dal sistema di difesa aerea israeliana (a voler essere cinici fino in fondo, si potrebbe pensare che a Israele, in particolare a Netanyahu, farebbe comodo che uno di quei droni uccidesse qualche civile per poter far salire ancora un po’ la tensione e spingere gli americani a intervenire).
Torniamo all’Iran: se c’era un modo sicuro per rafforzare il regime iraniano era proprio quello di attaccare il Paese.
Ricordiamo che gli iraniani sono fortemente nazionalisti; ricordiamo anche che esiste una tensione interna molto forte fra i guardiani della rivoluzione, cioè le milizie del partito al potere degli ayatollah, e l’esercito iraniano che si considera l’erede di Dario e Serse ma subordinato all’esercitucolo dei preti.
Per indebolire il regime, sarebbe stati utile allargare il divario tra forze armate e pasdaran; l’attacco di stanotte, invece, non fa che ricostituire la coesione tra le varie branche delle forze armate e quindi consolidare – almeno temporaneamente – il regime.
Questi sono i punti da tenere in considerazione di primo acchito, naturalmente nell’attesa di avere notizie più complete. Washington ha detto di non essere coinvolta negli attacchi, però il sospetto resta che l’obiettivo principale di Netanyahu sia proprio quello di tirare dentro gli Stati Uniti, forzare le divisioni tra gli arabi e ricompattare il proprio paese, mai tanto diviso in tutta la sua storia.
Ultima considerazione: il nucleare iraniano è l’ultima delle preoccupazioni.