In un partito come il Pd, nei cui 18 anni di vita l’unico o maggiore elemento costante è stato il ruolo di Dario Franceschini nella scomposizione e ricomposizione delle maggioranze, come diceva Aldo Moro nella sua Democrazia Cristiana, è naturale che si cerchi di intercettarne opinioni, umori, tendenze, gesti all’indomani dopo il turno fallito dei referendum su lavoro e cittadinanza.
Carmelo Caruso ha riferito sul Foglio l’esito dell’esplorazione metaforica compiuta a questo riguardo attorno all’officina romana, all’Esquilino, dove l’ex ministro della Cultura ha aperto ormai da tempo il suo ufficio per usare meglio gli attrezzi necessari allo smontaggio e rimontaggio dei pezzi del Pd, appunto. L’impressione che ha ricavato Caruso osservando il traffico, raccogliendo dichiarazioni virgolettate dei frequentatori e alcune attribuite allo stesso Franceschini, che tuttavia non si è lasciato prudentemente intervistare; l’impressione, dicevo, è che l’ex ministro ritenga la segretaria del partito non imputabile dell’insuccesso referendario. Anche senza spingersi a condividere la soddisfazione della Schlein. O il riconoscimento fattole sull’Unità da Goffredo Bettini di avere restituito al Pd “l’anima” di sinistra perduta o compromessa da Matteo Renzi ai tempi della sua segreteria e del suo governo. Anche col jobs act contestato referendariamente più dalla Cgil di Maurizio Landini – sostiene Franceschini – che dai partiti che l’hanno fiancheggiato. Sarebbe insomma Landini più della Schlein a doverne ora rispondere. Ma sono affari, appunto, del sindacato storico della sinistra.
Fra le curiosità, a dir poco, osservate dall’esploratore del Foglio c’è la partecipazione di Franceschini, forse raggiungendo l’amico in moto, alla festa dell’ottantesimo compleanno di Pierluigi Castagnetti, anche lui proveniente dalla Dc e da tutte le altre tappe del percorso di formazione del Pd. Un democristiano che passa, a torto o a ragione, per avere i rapporti più amichevoli e diretti col presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Rapporti che un po’ frenano o limitano l’esposizione mediatica e politica di Castagnetti, nel timore di mettere in imbarazzo il Presidente, con la maiuscola, ma non la eliminano. Un po’ come accadeva al compianto Emanuele Macaluso – rimasto peraltro prudentemente fuori dal Pd non condividendone l’elezione del segretario condizionata dagli esterni, cioè dai non iscritti – ai tempi in cui al Quirinale c’era Giorgio Napolitano. Detto anche “Re Giorgio” da noi cronisti senza infastidirlo più di tanto, carico com’era di capacità ironica, oltre che di maniacale precisione-
Ebbene, Castagnetti arrivato agli 80 anni proprio nel secondo e ultimo giorno dei referendum, lunedì 9 giugno, ne ha così commentato il naufragio, intercettato via internet dal Corriere della Sera: “Qualcuno dica a Schlein, anche solo privatamente, che così si va a sbattere. Posto che da quelle parti dove sembra prevalere l’arroganza ci sia ancora qualcuno interessato a tornare a vincere, per il bene del Paese e delle sue più giovani generazioni”. Un commento che, a sua volta, ha fornito ad un altro ex parlamentare democristiano, Maurizio Eufemi, questa replica, intercettata sempre navigando in internet: “Qualcuno dica a Castagnetti che era un epilogo scontato con un fronte camaleontico che cancella la storia del popolarismo”. Siamo un po’ ai materassi. O alla rottamazione, per tornare a immagini meccaniche.