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Perché gli editori web del Regno Unito fanno la guerra a Google?

Gli editori di siti web britannici accusano Google di attività anticompetitiva nella pubblicità online e il tribunale d’Appello per la concorrenza di Londra ha stabilito che la loro class action da 13,6 miliardi di sterline contro Big G può andare avanti. Tutti i dettagli

 

Via libera dal tribunale d’Appello per la concorrenza di Londra a proseguire con la class action degli editori di siti web britannici contro Alphabet, la società madre di Google, accusata di presunto abuso di posizione dominante nel mercato della pubblicità online, per la quale potrebbe dover pagare fino a 13,6 miliardi di sterline.

Il caso è considerato un precedente importante e, se gli editori dovessero vincere la causa, potrebbe avere un impatto significativo sul modo in cui Google opera nel mercato pubblicitario, ma anche aprire la strada ad altre class action simili in altri Paesi.

LA CLASS ACTION DEGLI EDITORI WEB UK

Un gruppo di editori web del Regno Unito ha avviato una class action, denominata Ad Tech Collective Action, contro Google per le sue pratiche commerciali. In particolare, il gigante della ricerca online è accusato di presunto abuso di posizione dominante nel mercato della pubblicità online.

Gli editori sostengono, infatti, di aver subito perdite a causa del presunto comportamento anticoncorrenziale di Google e chiedono un risarcimento del valore massimo di 13,6 miliardi di sterline.

L’AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE

Nonostante l’azienda di Mountain View avesse chiesto il mese scorso al tribunale d’Appello per la concorrenza di Londra di bloccare il caso, questo ha dato il via libera per andare avanti verso un processo che, però, secondo Reuters, difficilmente avrà luogo prima della fine del 2025.

Ma per gli editori si tratta già di un buon primo passo. “Questa è una decisione di grande importanza per le vittime della condotta anticoncorrenziale di Google nel settore dell’ad tech [la tecnologia pubblicitaria, ndr]. Google dovrà ora rispondere delle sue pratiche in un processo completo”, ha dichiarato Claudio Pollack, partner di Ad Tech Collection Action.

Google, invece, dal canto suo ha promesso battaglia contro quella che il suo direttore legale, Oliver Bethell, ha definito una causa “basata su speculazioni e opportunistica”. L’azienda ha inoltre fatto sapere che “respinge con forza le accuse” e che “si opporrà sulla base dei fatti”.

IL TRUCCHETTO DI GOOGLE NELL’AD TECH

Il caso, spiega Engage, è incentrato sulla cosiddetta tecnologia pubblicitaria, il sistema di Google denominato Bidding Infrastructure Group, che decide quali annunci online le persone vedono e quanto costano.

Google, secondo l’accusa, avrebbe abusato della sua posizione nel mercato promuovendo i propri prodotti e servizi rispetto a quelli dei concorrenti.

Ad Tech Collective Action, scrive Engage, ritiene in particolare che Google abbia utilizzato la sua tecnologia per: “ridurre artificialmente la concorrenza tra gli editori, facendo scendere i prezzi degli spazi pubblicitari e diminuendo i guadagni; favorire i propri prodotti pubblicitari, come Google AdSense e Google AdX, rispetto a quelli dei concorrenti; e, infine, raccogliere e utilizzare dati sugli utenti in modo anticoncorrenziale, per creare un vantaggio ingiusto per i propri prodotti pubblicitari”.

LE GRANE DI GOOGLE (E NON SOLO)

La class action intentata nel Regno Unito arriva in un momento delicato per Google che, oltre a essere protagonista del più grande processo antitrust del secolo negli Stati Uniti, è anche finita nel mirino della Competition and Markets Authority britannica e della Commissione europea, che stanno indagando sulle sue attività nel settore dell’ad tech.

Ma non è la sola. Quest’anno, infatti, il tribunale d’Appello per la concorrenza di Londra ha già certificato un caso da 3,8 miliardi di dollari contro la società madre di Facebook, Meta, e un caso da quasi un miliardo di dollari contro Apple.

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