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Come Prodi e i prodiani discutono (con scintille) su Italia-Cina e Via della Seta

Che cosa sostengono Romano Prodi, prodiani o ex prodiani sul MoU Italia-Cina. Con qualche sassolino scaraventato...

Da qualcuno è stata criticata, da altri benedetta come un vantaggio per l’Italia: fatto sta che gli accordi sulla Via della Seta, o Belt and road initiative (Bri) come viene chiamata in lingue inglese, ha radici lontane. E se oggi il governo a trazione gialloverde ne tesse le lodi, nel centrosinistra che per primo a cominciato il dialogo con Pechino qualche anno fa, si accendono le scintille e non tutti sono d’accordo con quanto fatto dall’esecutivo nella due giorni italiana del presidente Xi Jinping.

PRODI: BENE I RAPPORTI ITALIA-CINA MA SE TRAVESTITO DA NAZIONALISMO, IL NUOVO PROVINCIALISMO ITALIANO CI STA INFATTI RENDENDO ANCORA PIÙ MARGINALE

“Nella fase di preparazione le era stato attribuito un preminente contenuto politico quasi fosse l’inizio di un mutamento radicale della politica estera italiana, con il conseguente allontanamento dalle sue naturali alleanze”, ha scritto Romano Prodi in un editoriale oggi sul Messaggero. In realtà “la saggezza del presidente Mattarella e la realtà delle cose hanno parzialmente ridimensionato l’importanza dei capitoli che avevano creato tensioni ed equivoci come quelli riguardanti materie sensibili quali il 5G. I colloqui romani si sono quindi dimostrati uno strumento importante per cementare il rapporto fra Italia e Cina, rapporto che dovrebbe essere assai più stretto e operativo di quanto non sia stato in passato e di quanto non sia fra la Cina e i nostri partner europei”. Tuttavia, ha poi concluso l’ex premier ed ex commissario europeo Prodi, “si tratta di una strategia che proprio come dimostrato dagli avvenimenti dell’ultima settimana, può avere successo sole se portata avanti dall’intera Unione europea. Anche se travestito da nazionalismo, il nuovo provincialismo italiano ci sta infatti rendendo ancora più marginale”.

GENTILONI NEL 2017 TESSEVA LE LODI DELLA VIA DELLA SETA

A Pechino nel maggio 2017 si era recato in visita l’allora premier Paolo Gentiloni che pur registrando le difficoltà dei rapporti con il regime comunista che ambiva a essere riconosciuto come economia di mercato aveva trovato un elemento “ponte” per favorire relazioni più strette: proprio il progetto cinese ‘One belt one road’, ovvero la ‘Nuova via della seta’. “Una strategia che per quanto riguarda l’Italia, ha fruttato un accordo per l’istituzione di un fondo da 100milioni di euro a beneficio delle piccole e medie imprese, e una manifestazione di interesse da parte di Pechino a investire nello sviluppo dei porti di Venezia e Genova come snodi – ‘non in alternativa al porto del Pireo’, precisava Gentiloni – in grado di collegare i traffici commerciali con la rete autostradale europea”, si legge in un articolo di Eunews dell’epoca. Per il capo dell’esecutivo italiano, insomma questa ‘Nuova via della seta’ non aveva solo una portata economica ma “ha un significato anche politico”.

VENEZIA FUORI GIOCO. COSTA: DELRIO DISSE NO

D’altronde a ricordare l’importanza che per il governo del centrosinistra rivestivano i rapporti con la Cina ci ha pensato anche Paolo Costa, ex ministro dei Lavori pubblici proprio nel governo Prodi, ex sindaco di Venezia e soprattutto presidente per dieci anni (2008-2017) dell’Autorità portuale del capoluogo veneto, intervistato da StartMagazine pochi giorni fa. Che ha raccontato un retroscena interessante su ruolo di un prodiano, o forse ex prodiano, come Graziano Delrio: “Nella mappa originale della via della Seta marittima c’erano il Pireo e Venezia. Il governo dell’epoca ha lavorato sull’ipotesi Venezia e anche io, come presidente dell’Autorità portuale di Venezia, ci ho lavorato dal 2013. E di lavoro da fare ce n’era, perché per avere una rotta di supply-chain globale bisogna costruire i luoghi in cui le navi arrivano e scaricano. Venezia era la soluzione ideale”. Questo perché, spiegava Costa “aveva pronta l’ex area di Marghera, con i suoi 1.500 ettari. Aveva poi tutti i requisiti, compresi degli ottimi collegamenti ferroviari che sono quelli della Marghera degli anni ’60. I cinesi non a caso hanno studiato accuratamente il dossier e ci hanno cercato. Sono stati loro a cercarci, questo lo vorrei sottolineare. I cinesi hanno anche vinto successivamente la gara di progettazione per il porto, un progetto che è stato completato e che ora giace nel cassetto dell’autorità portuale di Venezia. Ma l’Italia ha detto no”. Ma chi ha detto no? “A quanto ne so, il ministro Graziano Delrio. Il premier Gentiloni era interessato e disponibile, ma le competenze sui trasporti erano di Delrio, che ha ritenuto di dire no, forse spinto da persone che propendevano per Trieste. Sta di fatto che con questo gioco tra chi diceva Venezia e chi diceva Trieste, alla fine non abbiamo deciso nulla. Abbiamo perso così l’occasione della primogenitura: avremmo potuto essere i padroni del traffico Europa-Asia”.

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