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Ibm, Watson e dati sanitari, che cosa sta succedendo davvero in Italia

Il caso Watson-Ibm, di cui molto si è scritto – e polemizzato – nell’ultimo anno, è in standby. I dati sanitari di milioni di italiani per il momento sono ancora al sicuro (per quanto possano essere al sicuro dai dati digitali) nei database delle pubbliche istituzioni. Non è detto che la vicenda non si sblocchi…

Il caso Watson-Ibm, di cui molto si è scritto – e polemizzato – nell’ultimo anno, è in standby. I dati sanitari di milioni di italiani per il momento sono ancora al sicuro (per quanto possano essere al sicuro dai dati digitali) nei database delle pubbliche istituzioni. Non è detto che la vicenda non si sblocchi ma per il momento la situazione è in fase di stallo. L’ultimo incontro fra il governo e le parti in causa, che si è svolto qualche settimana fa al Ministero dello Sviluppo economico, non ha dato finora esiti e tutto risulta ancora arenato su uno scoglio difficile da superare: la tutela della riservatezza dei cittadini. È questo il motivo principale che impedisce di consegnare i dati sanitari, un vero patrimonio di informazioni, a Ibm come a qualsiasi altro soggetto privato.

Resta il fatto che l’impasse si potrebbe in qualche modo sciogliere. Da un lato perché l’interesse delle aziende (non solo Ibm) a ottenere i dati è forte, dall’altro perché anche gli ambienti scientifici spingono perché ciò avvenga.

CHI VUOLE I DATI (E PERCHÈ)

Perché i dati sono preziosi? Per due motivi. Il primo è commerciale: le informazioni sono ormai la vera ricchezza dell’economia digitale. Il secondo motivo è scientifico: i dati sono anche la “benzina” che permette alle intelligenze artificiali di funzionare e in ambito sanitario vengono (e verranno sempre più) utilizzati per elaborare diagnosi e cure. Semplificando, i computer analizzano milioni di informazioni relative a pazienti, medicine e patologie, le processano e sono in grado di supportare medici e scienziati nella lotta e nella prevenzione di varie malattie. Più dati ci sono, e più sono pertinenti, meglio lavorano le intelligenze artificiali e, secondariamente, più si avvantaggia l’azienda che le possiede o le gestisce. Watson Health di Ibm è una di queste piattaforme.

IL WATSON HEALTH CENTER

Circa un anno fa ha avuto molto risalto la notizia di un accordo fra Ibm e il Governo (firmato nel 2016 da Matteo Renzi) secondo cui l’azienda avrebbe portato il suo polo di ricerca, Watson Health Center, a Milano, nell’area Expo, con l’approvazione della Regione Lombardia.

Come presupposto all’operazione, ha scritto sul Fatto Gianni Barbacetto, citando un documento riservato, «Ibm si aspetta di poter avere accesso al trattamento dei dati sanitari dei circa 61 milioni di cittadini italiani in forma anonima e identificata, per specifici ambiti progettuali, ivi incluso il diritto all’utilizzo secondario dei predetti dati sanitari per finalità ulteriori rispetto ai progetti». Inizialmente si parlava soltanto dei dati dei cittadini lombardi.

Ma se è vero che la finalità primaria della concessione delle informazioni a Ibm sarebbe promuovere la ricerca scientifica, è vero anche che la vicenda solleva questioni spinose, sia dal punto di vista della sicurezza che da quello dell’utilizzo dei dati stessi.

Lo sanno bene sia il Garante delle Privacy che la Comissione Europea. Il primo, sollecitando le parti a sottoporgli i dettagli del progetto, ha avviato un’istruttoria finalizzata a capire se l’operazione leda o meno i diritti dei cittadini titolari dei dati. La seconda è preoccupata del fatto che l’accordo – per cui non è prevista gara – possa illecitamente danneggiare i concorrenti di Ibm.

LA LEGGE (“AD AZIENDAM”?)

Il confronto con il Garante è proseguito senza sviluppi decisivi finché, a dicembre, il Governo Gentiloni ha approvato una norma che consente il passaggio di mano dei dati sanitari a soggetti privati anche senza il consenso degli interessati, purché quelle informazioni siano anonimizzate e che siano usate «a scopo di ricerca scientifica». Tradotto: le informazioni relative alle nostre analisi del sangue, ai farmaci che assumiamo, al nostro stato di salute, seppure non direttamente collegabili a noi, potranno finire a società private. Questo non ha sopito le polemiche, anzi: qualcuno, fra cui lo stesso Barbacetto, ha giudicato questa legge un provvedimento “ad aziendam” in favore di Ibm, nato proprio per evitare che l’accordo sul centro studi di Milano saltasse.

LA VERSIONE DI IBM

All’inizio di questa vicenda Ibm – che ha diffidato Barbacetto dalla pubblicazione dei documenti riservati alla base dell’inchiesta – ha risposto indirettamente dalle colonne del Corriere della Sera. Alessandro Curioni, il capo della ricerca in Europa ha precisato che la sua società non è interessata ai dati anagrafici, «proprio per evitare di essere accusata di qualcosa o che, ipoteticamente, un singolo possa fare dei danni svelandoli». A Repubblica, Ibm ha anche assicurato che i dati «sarebbero trattati in base a regole precise e chiare, coinvolgendo tutti quelli che hanno voce in capitolo».
L’impasse comunque resta e ad oggi non risulta che il progetto di Watson Health Center sia stato sottoposto al Garante. Regione Lombardia e Governo hanno comunque assicurato che nulla partirà senza la condivisione dell’Autorità presieduta da Soro.

L’INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE

Resta il fatto che l’interpretazione della legge approvata a dicembre non è univoca e sono tanti i nodi da sciogliere, soprattutto sul piano giuridico. Li ha elencati, su Nova, Maria Luisa Manis qualche giorno fa. Non è chiaro, per esempio, come interpretare la dicitura “a scopo di ricerca scientifica”. E anche il concetto di “anonomizzazione” è da valutare con attenzione perché, da quanto emerge, le procedure utilizzate sin qui per rendere i dati anonimi potrebbero non essere più valide alla luce della nuova legge. Non è così chiaro, in sintesi, come applicare questa legge e cosa si potrà fare di queste informazioni così preziose. Mentre sono evidenti i rischi che il passaggio di mano delle informazioni comporta, soprattutto per la privacy.

I dubbi sono vari: chi dovrebbe rendere anonimi i dati, la Regione Lombardia o Ibm? E come? E che succederebbe se incrociando vari database si riuscisse a collegare il dato “anonimo” alla persona a cui fa riferimento? Tecnicamente è possibile.

IL SERVIZIO DEL TG1

Al di là del fatto che l’operazione resta controversa, portare Watson Health a Milano dovrebbe recare numerosi vantaggi sia in termini di occupazione e investimenti che in termini di progresso scientifico. È pacifico che la piattaforma potrebbe dare concreto supporto alla cura di varie patologie, soprattutto tumorali.

Barbara Carfagna si è occupata di Watson Health nell’ultima puntata di Speciale Tg1, che analizzava in una panoramica vari temi legati all’intelligenza artificiale, applicata a una nuova frontiera della scienza, la cosiddetta “medicina personalizzata”.

Come ha spiegato Riccardo Sabatini, intervistato da Carfagna, «si tratta di capire come un farmaco funziona specificatamente per un singolo paziente». Non c’è modo di farlo senza utilizzare le macchine e le macchine non hanno modo di funzionare se non utilizzando i dati. Come fa Watson, che, ha spiegato Floriana Ferrara, master inventor di Ibm, riesce a collegare le informazioni e a metterle in relazione «molto più velocemente di un essere umano». La conseguenza potrà essere la creazione di farmaci personalizzati in grado di debellare le malattie oggi incurabili.

Il punto è: sarà possibile arrivare a quel punto senza compromettere i diritti di cittadini, uno su tutti quello alla riservatezza?

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