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Vi spiego i mini-Bot abbozzati dalla Lega (e da Claudio Borghi)

Lo Stato si libererebbe dei propri obblighi verso i fornitori accreditando loro dei mini-bot. L’approfondimento dell’editorialista Guido Salerno Aletta Dibattito politico infuocato, la scorsa settimana, sulla ipotesi di uscire dall’euro e sulla possibilità di ridurre il debito pubblico con misure straordinarie. Nella serata di martedì, a sorpresa, è stata diffusa una bozza di Contratto per…

Dibattito politico infuocato, la scorsa settimana, sulla ipotesi di uscire dall’euro e sulla possibilità di ridurre il debito pubblico con misure straordinarie. Nella serata di martedì, a sorpresa, è stata diffusa una bozza di Contratto per il Governo di Cambiamento elaborata dai delegati del Movimento 5 Stelle e della Lega, in cui si auspicavano “specifiche procedure tecniche di natura economica e giuridica” che consentano ai singoli Stati di uscire dall’euro e di “recuperare la propria sovranità monetaria”, e si proponeva il congelamento/cancellazione dei titoli acquistati dalla Bce con il Qe, che valgono per l’Italia all’incirca 250 miliardi di euro (10% del pil). A latere, c’era la costituzione di Fondi immobiliari da vendere prioritariamente alle famiglie, “impacchettando” quote di patrimonio pubblico per un importo di circa 200 miliardi di euro. Il debito pubblico italiano, ormai di poco superiore ai 2.300 miliardi di euro (131,5% del pil) si sarebbe attestato a 1.850 miliardi (105%), tornando ai livelli del 2008, quando fu del 102,4%.

La cancellazione dei titoli comprati con il Qe, avrebbe implicazioni enormi: la Bce dovrebbe effettuare un write-off del proprio attivo accusando una perdita corrispondente, che in questo caso sarebbe superiore al proprio capitale netto. Sulle conseguenze di questo evento straordinario, non c’è unanimità di vedute neppure tra i più esperti: c’è chi sostiene che la Bce deve comportarsi come qualsiasi altro soggetto economico, e dunque chiedere alle Banche centrali aderenti all’SEBC il ripiano delle perdite e la ricostituzione del capitale; ma c’è anche chi afferma che una Banca Centrale, finché mantiene il monopolio legale della moneta circolante, può benissimo avere un capitale netto negativo. Anzi, non avrebbe neppure bisogno di un capitale proprio. A differenza dei vecchi sistemi monetari con base aurea, infatti, oggi la circolazione è esclusivamente fiduciaria: chi detiene la moneta non può chiederne la conversione in oro alla banca centrale che l’ha emessa. L’unico limite alla emissione di moneta sarebbe invece rappresentato dalla stabilità dei prezzi.

Il dibattito accademico è sterile: le polemiche, invece, hanno immediatamente sortito il loro effetto, con una netta marcia indietro. E’ stato comunicato che la questione dell’euro era già stata espunta, e che per i titoli acquistati con il Qe si sarebbe chiesto in sede europea di escluderli dal calcolo del rapporto debito-PIL Alla fine, anche questa ultima questione è stata espunta: non si fa più alcun cenno né alla possibilità di uscire dall’euro, né all’abbattimento del debito con misure straordinarie, quali che siano.

Le polemiche, che sembravano placarsi, sono divampate ancora più violentemente sulla questione dei mini-bot. Il responsabile economico della Lega, Claudio Borghi, in una intervista ha dichiarato che il nuovo governo rimedierebbe in modo radicale ai ritardi nei pagamenti della PA corrispondendo “titoli, con un valore equivalente, che potranno essere spesi ovunque, per comprare qualsiasi cosa. E lo Stato non dovrà fare debito aggiuntivo, perché si darà semplicemente forma a un debito che già c’è”. Né si violerebbero i Trattati europei, che individuano nell’euro l’unica moneta a corso legale, in quanto non si tratta di moneta: secondo Borghi, “tecnicamente è un debito cartolarizzato. L’ alternativa sarebbe non pagare i creditori dello Stato, quello sì sarebbe un default”.

Le cifre in ballo sono colossali: l’Eurostat, in una nota di aprile scorso redatta sulla base di informazioni ufficiali provenienti dall’Italia, ha comunicato che nel 2017 i soli debiti commerciali della Pa sono arrivati a 40,4 miliardi di euro (2,8% del pil). Si tratta di un debito potenziale: alla contabilizzazione formale come debito si procede solo quando il pagamento avvenga a fronte di emissione di titoli. A questa somma vanno aggiunti i crediti fiscali, per i quali vigono limiti ferrei alle compensazioni, per evitare evasioni fiscali. Nella Contratto per il Governo si prevede di ampliare le forme di compensazione tra debiti e crediti fiscali e di procedere alla “cartolarizzazione dei crediti fiscali, anche attraverso strumenti quali titoli di stato di piccolo taglio, anche valutando nelle sedi opportune la definizione stessa di debito pubblico.”

E’ una prospettiva rivoluzionaria: lo Stato si libererebbe dei propri obblighi verso i fornitori accreditando loro dei mini-bot. La moneta perderebbe la esclusività in quanto strumento legittimamente liberatorio della obbligazione: lo Stato non dovrebbe più ricorrere previamente al mercato per procurarsi la moneta che gli occorre.

La reazione è stata immediata, e feroce: il Financial Times, con un articolo a firma John Dizard in cui si ricorda l’esperienza del ‘Patacon’ argentino, ha rilevato che “banchieri centrali e ministri delle finanze sono stati equilibrati nella loro reazione. Un equilibrio tra lo sdegno e il colpo apoplettico”. Non si tratterebbe, a suo avviso, solo di titoli di debito che anticipano, in termini ricardiani, la tassazione futura: “Se fossero introdotti su larga scala, le pressioni politiche con il tempo forzerebbero o l’Italia o la Germania fuori dall’euro, e avendo prodotto il danno questo strumento sarebbe alla fine liquidato”.

Siamo ad un nuovo snodo nella storia della moneta, dopo la fine dell’ancoraggio all’oro, di cui il florilegio delle criptovalute è un chiaro sintomo: le banche centrali, rese autonome dai governi negli anni Ottanta per bilanciare le spinte inflazionistiche indotte dalla spesa pubblica in disavanzo, che falcidiavano i risparmi e gli investimenti obbligazionari mentre i salari recuperavano potere di acquisto con la contrattazione, dopo la crisi del 2008 sono divenute istituzioni sovrane. Non si limitano a fornire liquidità al sistema bancario, ma effettuano veri e propri investimenti in titoli di debito pubblico, in obbligazioni di privati, e talora anche in azioni. L’aumento dei corsi azionari, suscitato dalla immensa liquidità immessa, non rappresenta lo stato di salute delle imprese ma un fenomeno inflazionistico: è la moneta con cui si acquistano che vale di meno, non i titoli che valgono di più. Le Banche centrali si sono sostituite così agli Stati nella creazione e nella distribuzione di reddito e ricchezza.

La partita dei mini-bot vale dunque, in via di principio, più dell’intero debito pubblico: deciderà chi è sovrano, se lo Stato o la moneta.

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