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Tax Ruling, Amazon deve restituire 250 milioni di euro al Lussemburgo

Un’indagine della Commissione Ue sul tax ruling ha portato alla luce favori fiscali per 250 milioni di euro ad Amazon da parte del Lussemburgo     Dopo Apple tocca ad Amazon. Anche il colosso del settore e-commerce finisce sotto la morsa dell’Antitrust Europeo per la questione del tax ruling, ovvero dei vantaggi fiscali concessi da…

Un’indagine della Commissione Ue sul tax ruling ha portato alla luce favori fiscali per 250 milioni di euro ad Amazon da parte del Lussemburgo

 

 

Dopo Apple tocca ad Amazon. Anche il colosso del settore e-commerce finisce sotto la morsa dell’Antitrust Europeo per la questione del tax ruling, ovvero dei vantaggi fiscali concessi da una nazione ad una società straniera. La società di Jeff Bezos avrebbe ottenuto vantaggi fiscali per ben 250 milioni di euro dal Lussemburgo ed ora dopvrebbe restituire questo denaro.

Novità anche sul fronte Apple e Dublino: Sempre la Commissione Antitrust Ue ha deciso di deferire Dublino per non avere recuperato la somma di 13 miliardi di euro da Cupertino.

Cosa è il Tax Ruling

Tax rulingE’ il  meccanismo in base al quale un paese spiega ad una multinazionale quale trattamento fiscale avrà (o le sarà riservato) in anticipo, delineando una sorta di accordo.

Secondo Margreth Vestager, questa pratica sarebbe da considerare un aiuto di Stato indiretto. Vietato dalle leggi sulla concorrenza comunitarie.

Amazon, favori dal Lussemburgo per 250 milioni di euro

Anche Amazon avrebbe approfittato del tax ruling. Il Lussemburgo, secondo le indagini della Commissione Antitrust Ue avviate ad ottobre 2014, avrebbe concesso vantaggi fiscali per 250 milioni di euro alla società. Ed ora, il Granducato è chiamato a recuperare questa somma.

Secondo i calcoli di Bruxelles, “tre quarti dei suoi profitti non sono stati tassati” grazie ad un accordo fiscale stretto nel 2003 e prolungato nel 2011, ha spiegato la commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager: il Lussemburgo ha consentito ad Amazon di pagare “quattro volte in meno di tasse rispetto ad altre società” residenti nel Paese, “senza alcuna giustificazione valida”.

L’accordo

Secondo le indagini Ue, Amazon avrebbe spostato gran parte dei suoi ricavi da un gruppo soggetto alla tassazione lussemburghese (Amazon EU) ad una società non soggetta ad alcuna tassazione (Amazon Europe Holding Technologies).

Scendendo nei particolari, il Lussemburgo avrebbe avallato il pagamento di una royalty da Amazon EU ad Amazon Europe Holding Technologies, che ha significativamente ridotto i profitti tassabili. Ma per l’Ue, tale pagamento non rifletteva “la realtà economica del mercato”.

Ma Amazon non ci sta

Amazon

Per Amazon non c’è nulla di illegale in tutto questo e dunque la somma da “restituire” al Lussemburgo non esiste.

“Non abbiamo ricevuto nessun trattamento speciale dal Lussemburgo – replica il colosso di Seattle in una nota. Abbiamo pagato tutto il dovuto, in accordo con il Lussemburgo e con le leggi internazionali”.

Il precedente

Ma Amazon era mezza avvisata. Proprio lo scorso anno, infatti, l’Antrust Ue aveva imposto ad Apple una maxi multa da 13 miliardi di euro, equivalenti per Margrethe Vestager, al al vantaggio fiscale concesso dall’Irlanda alla Mela Morsicata.

Dublino avrebbe dovuto recuperare la somma entro il 3 gennaio 2017, ma non lo ha fatto. E la Commissione  ha deciso di deferire Dublino per non avere ancora agito in tal senso, dal momento che “finché non li recupera, la Apple continuerà ad avere un vantaggio sugli altri”, ha spiegato la Commissaria.

Il comportamento di Dublino non stupisce:

Una Web Tax come soluzione?

Una web tax internazionale dovrebbe introdurre a livello comunitario delle nuove linee guida a livello fiscale che obbligherebbero tutti gli operatori del mercato digitale ad aprire una partita Iva nel Paese in cui fatturano.  Un cambiamento importante, soprattutto, se si pensa che la normativa vigente prevede che  queste società possano avere una sola sede legale in Europa. 

La volontà degli Stati Membri di tassare i giganti tecnologi per gli introiti che fanno nei diversi Paesi c’è. E i ministri delle Finanze UE lo hanno ribadito, impegnandosi a “procedere speditamente verso una posizione comune per il meeting di dicembre” sul fronte Web Tax. Con questo obiettivo, la Commissione “fornirà una comunicazione con diverse opzioni su come affrontare questa questione, prima del digital summit in cui si discuterà di nuovo allo scopo di consentire di arrivare a una qualche conclusione all’Ecofin di dicembre per stabilire una direzione”, ha riferito il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis al termine dei lavori.

Trovare una soluzione comune non sarà certo facile, visto che e politiche fiscali variano di Paese in Paese. Una proposta concreta, infatti, non arriverà prima della prossima primavera 2018.

E se non tutti gli Stati membri saranno d’accordo, allora si profila la soluzione che un gruppo di Paesi (tra cui Italia, Germania, Francia e Spagna) procedano autonomamente, tassando però il fatturato e non gli utili (Estonia vorrebbe tassare in base a numero dei clienti registrati) .

Non solo Apple ed Amazon. Fca: vantaggi fiscali dal Lussemburgo

fcaNel 2015, l’Unione Europea ha condannato Fca, per aver ricevuto attraverso la sua controllata Fiat Finance and Trade (FFT), un trattamento fiscale di favore dal Lussemburgo.Secondo le indagini svolte, infatti, FFT avrebbe pagato le tasse solo su una piccola parte del suo patrimonio contabile effettivo e lo avrebbe fatto anche a una remunerazione estremamente bassa. Per comprendere a pieno quanto stiamo dicendo, basterebbe pensare che se Fca fosse stata trattata a condizioni normali di mercato, gli utili imponibili dichiarati dall’azienda in Lussemburgo sarebbero stati 20 volte superiori. La controllata della casa automobilistica, dunque, ha ottenuto una riduzione indebita dell’onere fiscale pari ad almeno 20-30 milioni di euro. Anche Fca, come Apple, non ci sta alle accuse che le sono state rivolte e ha fatto ricorso.

Nel mirino Ue anche Starbucks, la multinazionale del caffè

Anche Starbucks Coffee Trading SARL è finita sotto indagine per tax ruling. I Paesi Bassi avrebbero ridotto in maniera artificiosa le imposte pagate dalla società statunitense, provocando un ammanco nelle casse dell’erario di 20-30 milioni. Quello di cui è stata accusata la catena di caffetterie, in realtà, è molto più complesso di quanto descritto sopra: non si tratta di semplici agevolazioni fiscali. Starbucks è stata accusata dall’Unione Europea di aver versato royalty molto alte alla controllata Alki, per l’utilizzo del know-how relativo alla tostatura del caffè. Un particolare: Alki non è tenuta a pagare le tasse né a Londra né nei Paesi Bassi. Girando alla sua controllata buona parte dei profitti, Starbucks Coffee Trading SARL avrebbe ridotto la base imponibile.

Tax ruling: indagini anche per Google, McDonald’s, Ikea

Sotto la lente d’ingrandimento Ue, per tax ruling, ci sono Google, McDonald’s, Ikea e e altre multinazionali europee. AbInBev e Atlas Copco, per esempio, avrebbero ricevuto un trattamento di favore dal Belgio.

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