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Autonomia Referendum

Referendum autonomia: ecco cosa chiedono Lombardia e Veneto il 22 ottobre

 Lombardia e Veneto vogliono maggiore autonomia. Referendum fissato per il 22 ottobre   Dalla Spagna (e dalla Catalogna, in particolare) all’Italia: ottobre è il mese dell’indipendentismo e di una maggiore autonomia. Anche Lombardia e Veneto, come fatto dai catalani, andranno al voto: la chiamata alle urne dei cittadini italiani è fissata per il 22 ottobre,…

 Lombardia e Veneto vogliono maggiore autonomia. Referendum fissato per il 22 ottobre

 

Dalla Spagna (e dalla Catalogna, in particolare) all’Italia: ottobre è il mese dell’indipendentismo e di una maggiore autonomia. Anche Lombardia e Veneto, come fatto dai catalani, andranno al voto: la chiamata alle urne dei cittadini italiani è fissata per il 22 ottobre, ma grandi sono le differenze con quello che hanno richiesto i cugini spagnoli. L’esito italiano non avrà affetti immediati come potrebbe averli quello catalano: il parlamento di Barcellona, infatti, potrebbe dichiarare l’indipendenza già nelle prossime 48 ore, buttando la regione anche fuori dall’Ue.

I referendum italiani non mettono in dubbio l’Unità d’Italia.

Cosa chiedono Lombardia e Veneto

Portabandiera dell’autonomia delle due regioni è la Lega Nord, che vede nel voto del 22 ottobre anche una sorta di prova generale per le elezioni Nazionali 2018.

Le due regioni del Nord Italia chiedono più autonomia per scuola, ambiente, demanio idro-geologico, salvaguardia del territorio, beni culturali, strade e viabilità, pubblica amministrazione e gestione di alcuni fondi europei. E soprattutto, chiedono che il 90% delle tasse restino sul territorio (le due regioni cedono. complessivamente, ogni anno allo Stato un residuo fiscale, dato dalla differenza di entrate e di spese, di oltre 70 miliardi – 53,9 miliardi la Lombardia e 18,2 il Veneto).

Non solo Lega Nord

Dobbiamo ammettere che non c’è solo Lega Nord a sostenere l’indipendenza. A favore del Sì sono anche il Movimento 5 Stelle e Forza Italia. Di idea diversa invece gli aderenti al Pd, che considerano il Referendum inutile dal momento che la Costituzione già prevede la possibilità di una trattativa tra lo Stato e le Regioni sulle competenze. Fanno eccezione, però, il sindaco di Milano Giuseppe Sala e quello di Bergamo Giorgio Gori hanno preso posizione a favore del Sì.

Grandi differenze con la Spagna

I due Referendum non hanno nulla a che fare con quello che c’è appena stato in Catalogna. Quelli italiani, innanzitutto, sono consultivi. Mentre per il post referendum, il parlamento di Barcellona può chiedere e proclamare l’indipendenza, il post referendum italiano è una partita locale, dal chiaro valore politico ma con effetti pratici, almeno in questa primissima fase, limitati.

Insomma, il voto del 22 ottobre non mette in discussione l’unità di Italia. Lombardia e Veneto guardano alle Regioni a Statuto Speciali come modello da perseguire. Ed è anche per questo che sembrano passare un po’ in sordina e, soprattutto, non genera un clima di scontro tra le istituzioni.

“Il referendum veneto per l’autonomia non c’entra niente con la linea originaria leghista o con riferimenti alla secessione, perché parliamo di autonomia” avrebbe affermato il presidente della Regione Veneto Luca Zaia. “È logico che il Veneto, nell’alveo della legge, debba chiedere tutto quello che è possibile, noi vogliamo tutte 26 le competenze previste dalla Costituzione”.

E ancora. Mentre il Referendum svoltosi in Spagna è stato ritenuto illegittimo, quelli italiani trovano legittimazione nell’articolo 116 della Costituzione. “Il Friuli Venezia Giulia [cfr. X], la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale. La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano. – recita l’articolo – Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”.

I due quesiti

In Lombardia, il voto sarà elettronico e i cittadini dovranno rispondere alla domanda “Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?

I cittadini veneti, invece, dovranno rispondere alla domanda più sintetica: “Vuoi che alla regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”.

In Veneto, la consultazione verrà approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è stata raggiunta la maggioranza dei voti espressi (Possono partecipare al referendum consultivo i cittadini iscritti nelle liste elettorali dei comuni della Regione). Non è necessario raggiungere il quorum, invece, in Lombardia.

Cosa succede se vince il “Sì”

Lo dicevamo, nella pratica poco cambierebbe. In caso di esito positivo, infatti, i governatori Luca Zaia e Roberto Maroni avrebbero più forza contrattuale quando si aprirà il negoziato sull’autonomia con l’esecutivo. I negoziati potrebbero sfociare in una proposta di legge, che dovrà essere approvata da entrambi i rami del Parlamento.

Il referendum Spagnolo

catalognaTra scontri, feriti, e scene da guerra civile si è tenuto il referendum sull’indipendenza della Catalogna. I “Sì” hanno trionfato: oltre il 90% dei 2,2 milioni dei votanti ha scelto per l’autodeterminazione della regione più ricca di Spagna dal governo centrale. Se il referendum, però, ha rivelato il pensiero del popolo, ora spetterà al parlamento di Barcellona questa settimana prendere la decisione di dichiarare l’indipendenza (che potrebbe arrivare anche nel giro di 48 ore).

Dalla forte identità culturale e con una propria lingua, la Catalogna è entrata a far parte della Spagna nel quindicesimo secolo. Nell’800 torna a farsi sentire lo spirito nazionalistico, ma solo nel 1931, con l’avvento della Repubblica viene concessa particolare autonomia alla Generalitat ( il sistema amministrativo-istituzionale per il governo autonomo) della Catalogna.

Dopo la Guerra civile spagnola e con la costituzione democratica del 1978, la Catalogna si vede confermato un alto livello di autonomia. Basti pensare che ha una sua propria polizia e il catalano è diventato lingua ufficiale assieme allo spagnolo.

La Catalogna è una delle regioni più ricche della Spagna. Turismo a parte (Barcellona attira ogni anno milioni di turisti e di studenti stranieri), infatti, l’area è sede di almeno 7mila multinazionali, come Nissan e Renault, e contribuisce al 19% del Pil spagnolo. Il reddito pro capite è di 27.663 euro contro 24.100 della media spagnola e la disoccupazione si ferma “solo” al 13,2%, rispetto al 17,2% del resto del paese.

La secesione avrà conseguenze sull’economia della Spagna (visti i numeri economici), e anche sul fronte Europeo.

Se un giorno la secessione diventerà realtà, con l’approvazione del Tribunale Costituzionale e il Parlamento spagnolo, il giorno dopo la Catalogna sarà fuori dall’Unione Europea”, aveva annunciato il presidente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker. E dunque, la regione, una volta indipendente, dovrà sottoporsi al comune processo per l’ingresso.

Processo che non è detto fili liscio e senza intoppi. La Spagna potrebbe imporre all’Ue il diritto di veto per la new entry, con l’obiettivo di ostacolare l’ingresso e isolare la regione. Quel che sembra certo è che la Catalogna resta europeista, dunque le future conseguenze verranno definite da Madrid.

La Spagna potrebbe anche stupire e a Bruxelles si potrebbe spingere per un ingresso veloce. D’altronde, bisogna considerare che con l’uscita della Catalogna dall’Unione europea, ci sarebbe una riduzione della produzione e un aumento dei prezzi catalani nei mercati internazionali.

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