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Brexit

Brexit: ecco le prime conseguenze economiche per l’UE

L’uscita di Londra dall’Ue provocherà gravi ammanchi nelle casse della Comunità europea. Si studia un piano di recupero post Brexit   Ora che la Brexit ha preso il via, l’Europa deve fare i conti (in tutti i sensi) con la futura assenza di Londra. L’uscita della Gran Bretagna comporterà un ammanco di cassa nell’UE a…

L’uscita di Londra dall’Ue provocherà gravi ammanchi nelle casse della Comunità europea. Si studia un piano di recupero post Brexit

 

Ora che la Brexit ha preso il via, l’Europa deve fare i conti (in tutti i sensi) con la futura assenza di Londra. L’uscita della Gran Bretagna comporterà un ammanco di cassa nell’UE a 27 di 10-11 miliardi ogni anno.

Inevitabili, dunque, i tagli alla spesa. Ma andiamo per gradi.

Meno 11 miliardi a bilancio senza Londra

La Brexit porterà importanti conseguenze anche nelle economia dell’Europa a 27. “Il gap nelle finanze Ue che nasce dall’uscita del Regno Unito e dai bisogni finanziari delle nuove priorità deve essere chiaramente riconosciuto”, si legge nel paper di riflessione sulle finanze europee post 2020. Con l’uscita di Londra, infatti, “mancheranno 10-11 miliardi ogni anno al bilancio Ue perché,nonostante lo ‘sconto’, la Gran Bretagna era un contributore netto”.

Arrivano i tagli

“I tagli saranno necessari nei prossimi 10 anni” perché “non possiamo far finta che niente sia cambiato con la Brexit”, ha sottolineato il Commissario. Ci saranno, post 2020, tagli e razionalizzazioni ai fondi per la coesione che vanno alle regioni e a quelli per l’agricoltura, mentre sarà messa al vaglio una revisione della spesa per finanziare le nuove priorità Ue: migranti, lotta al terrorismo e difesa comune.

“Lo status quo non è un’opzione”, per questo “dovranno essere fatte scelte dure”, si legge nel documento. Perchè, all’ammanco di Londra si aggiungono un’altra quindicina di miliardi di euro l’anno, che serviranno a finanziare le nuove priorità rispetto alla ripartizione attuale delle risorse attualmente destinate in gran parte all’ agricoltura e ai fondi di coesione per le regioni.

Dove trovare le risorse?

C’è già qualche ipotesi allo studio. Come suggerisce Mario Monti, si potrebbero aumentare le risorse incassando introiti da una ‘carbon tax’ (relativa al sistema Ets), dall’Etias (il sistema di visti Ue come l’Esta americano), o ancora dal signoraggio delle banconote emesse dalla Bce.

Potrebbero anche essere cancellati gli sconti agli Stati membri (tra cui Germania, Austria, Olanda, Danimarca) legati al ‘rimborso britannico’ (il ‘British rebate’).

Ma si tratta dolo di ipotesi, ora inizierà uno studio per far quadrare i futuri bilanci Ue. Ed è per questo che la Commissione UE è ora intenzionata a rinviare la presentazione della sua proposta per il post 2020 alla metà 2018 anziché, come inizialmente previsto, entro la fine di quest’anno.

L’apertura dei negoziati

BrexitI negoziati hanno preso il via la mattina del 19 giugno alle ore 11, nella sede della Commissione Ue a Bruxelles. Esattamente un anno dopo dal voto del Referendum.

A negoziare per i Ventisette è Michel Barnier; dall’altra parte c’è il segretario di Stato britannico per l’uscita dall’Unione europea, David Davis.

L’Europa intende identificare subito “priorità e calendario”, ha commentato Michel Barnier.

“Sebbene ci siano senza dubbio tempi di sfida davanti a noi, faremo tutto il possibile per dare un accordo che sia nel miglior interesse di tutti i cittadini”, ha invece commentato David Davis.

Un precedente importante

I negoziati in corso sono davvero importanti. E non solo perchè andranno a definire i nuovi rapporti tra Londra ed Europa, ma perchè la Gran Bretagna è la prima ad uscire dall’Ue. Questo significa che tutto quello che verrà deciso ora, potrebbe essere utilizzato in altra sede, nel caso si verificasse un’altra uscita.

Dunque, questa volta si decidono le regole del gioco che un giorno potrebbero valere per un altro Paese.

Brexit: cosa chiede l’Ue?

Tre gli argomenti principali che dovranno essere discussi con Londra. Il primo è quello delle garanzie reciproche per i cittadini europei che vivono nel Regno Unito e per i britannici residenti negli altri paesi Ue. Il secondo sarà quello degli aspetti finanziari e poi ci sarà da risolvere la questione Irlanda.

Sui diritti dei cittadini europei residenti nel Regno Unito, l’Europa chiede l’acquisizione della residenza permanente dopo un periodo continuativo di cinque anni di residenza legale e che i cittadini possano essere in grado di esercitare i loro diritti attraverso procedure amministrative semplici. 

In tema finanziario, l’accordo dovrebbe includere non solo gli impegni assunti nel bilancio pluriennale dell’Ue, ma anche nell’ambito della Banca Europea degli Investimenti, del Fondo Europeo di Sviluppo e della Banca Centrale Europea. I negozionati dovranno assicurare che sia l’Unione sia il Regno Unito rispettino gli obblighi. In pratica, il Regno Unito dovrebbe continuare a contribuire al bilancio comunitario come se fosse uno stato membro anche dopo la sua uscita formale nel 2019, forse fino al 2021.

Le differenze tra hard e soft Brexit

BrexitLo scorso 29 marzo Londra ha consegnato a Bruxelles la lettera che avviava il processo di uscita di Londra dall’Ue. Un processo che durerà, sulla carta, 2 anni. La via scelta da Theresa May, nuovo Primo Ministro dopo David Cameron era qualla di una “hard Brexit”: un’uscita senza mezze misure. La May intende togliere la Gran Bretagna non solo dalle faccende politiche Ue, ma anche dal mercato interno del Vecchio Continente.

Poi, però, Theresa May ha perso la sua scommessa. I conservatori si confermano il primo partito alle elezioni in Gran Bretagna, ma senza ottenere la maggioranza assoluta, voluta dalla May per avere un mandato pieno per trattare una Brexit dura, a spese dei lavoratori europei del suo Paese.

I coservatori si sono fermati a quota 318 seggi, 12 in meno rispetto al Parlamento uscente e 8 di quelli necessari ad avere la maggioranza assoluta. I laburisti di Jeremy Corbyn, invece, hanno registrato un risultato tra i migliori di sempre, arrivando a conquistare 261 seggi.

Ed è per questo che per evitare le dimissioni della May e formare il nuovo esecutivo,i Tory hanno stretto un accordo con gli unionisti nord-irlandesi del Dup, che hanno conquistato 10 seggi.

“Ora, dopo questa elezione, bisognerà prendere in considerazione anche il punto di vista di coloro che desiderano restare nella Ue e optare per una Bexit soft: una Brexit dura non è stata approvata dall’elettorato”, aveva detto John Major in un’intervista alla radio della BBC. “Dobbiamo riconoscere che l’elezione ha cambiato, se non tutto, moltissimo, e il governo deve rispondere a tutto questo.”

Se non sarà hard Brexit, sarà soft Brexit. Ma cosa significa tutto questo? Difficile stabilirlo con certezza, dal momento che non esiste una definizione rigorosa dei termini.

La hard Brexit progettata in passato da Theresa May poteva comportare che Londra abbandonasse l’Unione Europea, tutti i trattati e le istituzioni europee di cui fa parte, nonché il ‘mercato unico’ e interrompa la libera circolazione delle persone.

Una Brexit soft, invece, potrebbe essere simile alle scelte della Norvegia, che è un membro del mercato unico e deve accettare la libera circolazione delle persone, pur restando fuori dall’Ue a 28. Quello che è certo è che ad oggi pochi vogliono mettere in discussione l’unione doganale, tantomeno i nordirlandesi del Dup, mentre cresce il numero dei deputati che affermano che rinunciare al mercato unico europeo sarebbe uno sbaglio. Questo cambia i vecchi piani di Theresa May, che dovrà sicuramente tener conto di tutto questo nella definizione dei futuri accordi commerciali.

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