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2 buoni consigli di politica economica al futuro governo (Juncker permettendo…)

Il commento dell’economista Gianfranco Polillo per Start Magazine sullo stato dei conti pubblici, sull’eccesso di allarmismo, sul Fiscal compact da emendare e su molto altro… Scrive l’Ufficio parlamentare del bilancio nel suo incipit (Situazione e prospettive della finanza pubblica italiana): “Negli anni più recenti, date le sfavorevoli condizioni cicliche, la politica di bilancio in Italia…

Scrive l’Ufficio parlamentare del bilancio nel suo incipit (Situazione e prospettive della finanza pubblica italiana): “Negli anni più recenti, date le sfavorevoli condizioni cicliche, la politica di bilancio in Italia è stata caratterizzata dall’esigenza di sostenere la crescita economica, tenendo comunque presenti i vincoli sui conti pubblici necessari per ricondurre il debito su un sentiero di stabilizzazione in rapporto al PIL. Le politiche di bilancio adottate hanno quindi cercato di contemperare il controllo dei disavanzi con interventi di stimolo alla ripresa macroeconomica, anche utilizzando la flessibilità di bilancio prevista all’interno delle regole europee e nazionali”. Ergo: “Considerato anche che la ripresa dell’economia italiana appare più solida” è necessario un rinnovato rigore.

Se questo fosse vero, Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia, nelle sue ultime “Considerazioni finali” avrebbe scritto delle sciocchezze, quando ha sostenuto: “Dal 2008 l’incremento del rapporto tra debito e PIL è stato essenzialmente determinato dalla dinamica sfavorevole di quest’ultimo. Se il prodotto fosse cresciuto in termini reali al tasso medio, pur contenuto, degli anni compresi tra l’avvio dell’Unione economica e monetaria e l’inizio della crisi finanziaria e se l’aumento del deflatore fosse stato in linea con l’obiettivo di inflazione della BCE, per il solo effetto di un denominatore più elevato il rapporto tra debito e prodotto sarebbe oggi analogo a quello del 2007″. Diversità di prospettiva evidente.

La ragione del contendere riguarda proprio le regole europee ed in particolare il Fiscal compact. Può essere questo un vestito che si adatta ad ogni individuo, prescindendo dalla sua corporatura? O quelle regole non debbono tener conto della reale situazione di ciascun Paese? Un conto è la Francia – per altro in “procedura d’infrazione” da tempo immemorabile – un altro è l’Italia. Nel primo caso la stretta di bilancio era più che giustificata, visto il deficit permanente delle sue partite correnti della bilancia dei pagamenti. Segnale preoccupante di un eccesso della domanda interna, rispetto al potenziale produttivo del Paese. Nel secondo caso, invece, un surplus che per la sola bilancia commerciale – ultimi dati della Banca d’Italia – vale 50 miliardi. Quasi il 3 per cento del Pil.

Il tallone d’Achille della situazione italiana è la bassa crescita della sua domanda interna, “spiazzata” dal peso dell’estero. L’unico volano al suo debole sviluppo – in relazione al resto dell’Eurozona – complessivo. Il vuoto che si è determinato tra un potenziale produttivo che resta congelato – si pensi solo al comparto “costruzioni” – e le altre variabili del quadro macroeconomico può essere colmato, in modo produttivo, solo da una più forte ripresa degli investimenti. Per altro non limitati ai soli settori collegati – come pure sta avvenendo – all’export. Si può sperare che questo avvenga in modo spontaneo, grazie al lento progredire dell’economia. Ma i tempi sono estremamente lunghi, mentre il crescente disagio sociale rischia di compromettere ogni soluzione politica. L’eccesso di capacità produttiva, che è caratteristica delle maggior parte delle aziende, scoraggia, per altro, ogni iniziativa.

Se questo è il quadro, far prevalere la ragione “contabile” – il quadro di finanza pubblica sugli aspetti dell’economia reale – può essere solo controproducente. E determinare l’ulteriore avvitamento del ciclo. Con i suoi riflessi negativi sull’andamento del deficit e del debito. Per rompere questa spirale è necessario non dimenticare la grande lezione di Keynes. Compensare il surplus delle partite correnti della bilancia dei pagamenti con un rilancio degli investimenti pubblici, in grado di trascinare anche quelli privati. Almeno fin quando i conti con l’estero lo consentano. Avremmo certamente un aumento del deficit in valore assoluto, ma non necessariamente un peggioramento del suo rapporto con il Pil. Se quest’ultimo crescerà non solo in termini reali, ma nominali.

Vi sono dei rischi in questa prospettiva? Certamente, dato lo stato quasi comatoso della nostra Pubblica Amministrazione – si pensi solo al codice degli appalti – ma può essere un rischio calcolato. Se avremo la forza di eliminare ogni prospettiva di bonus e di ulteriori concessioni al sociale, per concentrare tutte le risorse aggiuntive su investimenti e riduzione del carico fiscale.

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