I pagamenti elettronici piacciono ancora troppo poco agli italiani. E pensare che rinunciare al contante e sposare la cashless-rule farebbe risparmiare 10 miliardi
Cashless society, chi era costei? Una domanda non banale se si parla di un Paese come l’Italia, dove permane il massiccio utilizzo del contante, nonostante la rivoluzione planetaria del Fintech (qui gli approfondimenti di Start Magazine) sia ormai cominciata da un pezzo. Il paradosso vuole che in un Paese da 200 startup attive nelle soluzioni per accantonare la finanza tradizionale, la banconota la fa ancora da padrone. Questa almeno la fotografia emersa dall’ultimo report di The European House – Ambrosetti, l’ente promotore dell’omonima kermesse finanziaria a Cernobbio e che da un paio di anni fa il punto della situazione sui pagamenti digitali nel mondo attraverso l’Osservatorio Cashless Socieity, di cui Start Magazine ha potuto consultare i risultati dell’edizione 2016/2017, che verrà presentata ad aprile.
Pagamenti elettronici: cashless society, sogno o realtà?

Il costo (miliardario) del contante
Il conto è presto fatto, dallo stesso The European House – Ambrosetti: 10 miliardi di euro, praticamente la metà di una manovra finanziaria d’autunno. Il 48% a carico delle banche, il 39% dei commercianti e un 13% sui cittadini. D’altronde, più cash vuole dire anche più spesa di gestione: monete e banconote hanno infatti costi diretti rilevanti, pari a circa 10 miliardi l’anno, “a cui si aggiungono quelli occulti della mancata modernizzazione del Paese”, scrivono gli esperti nel report.

Il confronto europeo
Il raffronto con gli altri Paesi è ovviamente impietoso. Nell’Eurozona il contante pesa mediamente il 9,7% sul Pil, il 9,6% in Francia, il 3,5% in Canada e nel Regno Unito. Questo, dicono dall’Ambrosetti, fa dell’Italia la seconda economia peggiore in Europa, dopo la Repubblica Ceca, per ricorso alla banconota e la 25esima al mondo. E pensare che, secondo alcuni dati della Banca d’Italia, il cash, calcolando la somma dei costi sostenuti dai singoli operatori al netto dei flussi intermedi fra gli operatori, costa il 2% in rapporto al valore medio per operazione, contro l’1,95% delle carte di credito e l’1,07% di quelle di debito. Ma nonostante gli elevati costi di gestione del contante, la carta moneta è ancora utilizzata nella maggior parte delle transazioni.
I campioni della cashless socieity

Pagamenti elettronici: il caso tedesco
Tra le pieghe del report di The European House – Ambrosetti emerge poi una curiosità. E cioè che la Germania, Paese che ad oggi non prevede un limite al contante, vanta un maggior numero di transazioni cashless rispetto all’Italia, che invece il limite ce l’ha eccome (3000 euro). Un particolare che forse può rinfocolare la teoria della differenza culturale tra Paesi: non è tanto questione di leggi, ma forse di approccio culturale al cambiamento.
Così il Fintech avanza
Il Fintech è comunque una realtà, comunque la si voglia vedere. Gli stessi esperti del The European House – Ambrosetti, parlano nel loro Cashless Index Society di “leggero miglioramento dell’Italia” nella classifica mondiale dei pagamenti elettronici. Nel mondo comunque, la rivoluzione digitale avanza. Il prestito peer to peer, i mobile payment, i Bitcoin, la blockchain e il crowdfunding si fanno spazio nella giungla finanziaria, conquistando l’attenzione di startup, Banche e istituzioni. Mentre in Cina il settore è attivo e vivace, in Italia il Fintech cresce, ma a piccoli passi. Il sistema del Bel Paese non è pronto alla rivoluzione della tecnologia. È questo, in breve, quanto dimostrato dal rapporto dell’Osservatorio Digital Finance della School of Management del Politecnico di Milano presentato al convegno “Digital rethinking nel banking e finance”.

Tra le startup, ben il 58% di esse si propone di rivoluzionare i servizi di Banking, il 21% quella degli Investment Services e il 17% delle nuove aziende si occupa di “altri servizi” di finanza tecnologica. Se è vero che il settore Banking è quello più popoloso, è anche vero che è quello che raccoglie i maggiori finanziamenti, ovvero il 72% del totale






