La Cina investe nei Paesi poveri, ma ricchi di risorse dell’Africa. E non proprio tutti son contenti
Tutti i giorni della settimana, alle 5.30 del mattino, una folta schiera di uomini, con giacche e pantaloni catarifrangenti, attraversa il deserto africano, quello della costa sud-occidentale, dirigendosi verso Swakopmund, città della Nabibia che mostra ancora, negli edifici e nelle strade, i segni evidenti della dominazione tedesca. Questi uomini non sono africani, come si potrebbe pensare, sono cinesi. La presenza della Cina nel mondo, e in Africa in particolare, cresce. Crescono gli accordi commerciali, gli interessi e gli alleati. L’attrazione gravitazionale della Cina può essere sentito oggi in ogni angolo del globo. Approfondiamo insieme.
China General Nuclear e il progetto africano
Tra tutti quegli uomini che la mattina attraversano il deserto della Nabibia c’è Dylan Teng, un ragazzo di 29 anni, ingegnere. E’ sempre tra gli ultimi ad arrivare, si unisce agli altri divorando una colazione a base di porridge di riso. Prende un pranzo al sacco preparato da uno chef della società e precisamente alle ore 6 sale su un autobus decorato con le lettere CGN – China General Nuclear, un colosso asiatico che vanta il più grande progetto cinese in tutta l’Africa.
Un’ora dopo lo stesso Teng scende a miniera di uranio Husab, un investimento di 4.6 miliardi di dollari, la seconda più grande miniera di uranio del mondo. Teng ha fatto questo viaggio quasi un migliaio di volte, ma Husab, come racconta il New York Times, sembra sempre come un miraggio: una città virtuale che nasce nel deserto. Teng sa bene cosa significhi Husab: non è semplicemente un’ancora di salvezza per l’economia della Namibia (il Paese dovrebbe aumentare il Pil del 5% quando questa sarà in piena produzione, nel 2018), ma è anche uno strumento per portare la Cina a leader mondiale nel settore dell’energia nucleare, riducendo la sua dipendenza dal carbone.
Appena a nord di Swakopmund, spunta nel deserto una stazione di telemetria cinese, i radar puntano verso il cielo per tracciare satelliti e missioni spaziali. Venticinque miglia a sud, a Walvis Bay, una società cinese è impegnata nella costruzione di una penisola artificiale delle dimensioni di 40 campi da baseball. E ancora: la Cina è impegnata nella realizzazione di nuove autostrade,di un centro commerciale, di una fabbrica di granito, di un deposito di carburante da 400 milioni di dollari, di una ferrovia ad alta velocità in Nigeria, dal costo di 8 miliardi e di un canale che dovrebbe attravesare il Nicaragua, che dovrebbe costare $ 50 miliardi.
Un mega-porto in Tanzania
La repubblica Popolare è coinvolta anche nell’ampliamento del porto di Bagamoyo, in Tanzania: diventerà il porto più grande del continente Africano, con una capacità di gestione di circa 20 milioni di container ogni anno. La società cinese che ha preso in carico il progetto dovrebbe completare la costruzione entro il 2045, per un costo stimato di 11 miliardi di dollari.
La presenza della Cina in Egitto
L’espansione coloniale in Cina non poteva non puntare anche sull’Egitto. Avere buoni rapporti con il Paese, investire e avviare accordi commerciali al Cairo significa poter controllare, in qualche modo, una via strategica per il commercio internazionale, il Canale di Suez.
Anche se l’Egitto vanta un’ingente forza lavoro e un livello di istruzione della popolazione abbastanza alto, deve fare i conti con infrastrutture obsolete e con un settore industriale e manifatturiero che non raggiungono livelli adeguati di produttività. Nuovi impianti industriali potrebbero dare un nuovo impulso all’economia. Pechino lo sa bene ed è per questo che negli ultimi mesi ha intensificato gli scambi diplomatici con il Cairo e Pechino. Qualche accordo commerciale c’è già.
A gennaio 2016, alla presenza del presidente cinese Xi Jinping, la China Electric Power Equipment and Technology e il ministero dell’Elettricità e delle Energie egiziano hanno dato vita ad una collaborazione che dovrebbe portare alla realizzazione di 1.210 chilometri di linea di cavi elettrici, con una produzione di energia della potenza di 500kV. I lavori dovrebbero terminare in 18 mesi al “prezzo” di 650 milioni di dollari.
Ma già dal 2009 era evidente l’interesse della Cina verso l’Egitto. Ne è la prova la China-Egypt Suez Economic and Trade Cooperation Zone, avviata nel 2009 nella parte nord-occidentale del Golfo di Suez, una zona a ridosso del luogo interessato all’ampliamento del Canale di Suez (progetto inaugurato nel 2015). Con l’ampliamento, il canale diventa un hub economico globale, grazie ad un aumento del transito da 49 a 97 navi al giorno.
Sempre in Egitto, poi, si è stanziata la Jushi Group Corporation, una delle principali aziende produttrici di fibra di vetro al mondo. È arrivata in Africa nel 2012 e dopo 24 mesi l’impresa ha investito 223 milioni di dollari, prevedendo la produzione di quasi 80 mila tonnellate di fibra di vetro annue.
Una nuova potenza economica e coloniale?
Tutto questo offre solo un piccolo assaggio di quello che potrebbe diventare la Cina, nel mondo e per il mondo. Spinte dalla crescita economia, dalla fame di nuove risorse e nuovi mercati) e politica (un desiderio di alleati strategici), le aziende cinesi e lavoratori si sono precipitati in tutte le parti del mondo.
E se nel 2000, solo cinque Paesi vedevano la Cina come il loro principale partner commerciale; oggi sono più di 100, dall’Australia agli Stati Uniti, gli Stati che pensano a Pechino come loro partner. I progetti proposti per l’espansione della Cina nel mondo non di fermano.
Oggi, se si prende il volo notturno da Shanghai a Addis Abeba, la capitale dell’Etiopia, è molto probabile che ci si possa sedere tra i lavoratori cinesi diretti a un cantiere in Guinea Equatoriale, ricca di petrolio, o verso un’azienda di trasformazione del cotone in Mozambico, o in Nigeria. Come scrive il New York Times, il Commercio della Cina con le nazioni africane è aumentato quaranta volte negli ultimi 20 anni. C’è da dire che l’impegno della Cina in Africa è aumentato quando l’Occidente sembrava essersi ritirato.
L’impegno degli Stati Unit in Asia, in Africa e America Latina è diminuito dopo la guerra fredda. Questo ha portato all’ascesa della Cina e ora è tempo che Pechino mostri la sua leadership globale. Il disprezzo del Presidente Trump per la Trans-Pacific Partnership ha già portato alla presentazione di nuove proposte commerciali da parte di Pechino, che escludono gli Stati Uniti.
“In alcune parti del mondo, la disattenzione relativa dell’amministrazione Trump è sicuramente la creazione di un’apertura per l’ascesa della Cina”, ha sostenuto David Shambaugh, direttore del programma di politica della Cina alla George Washington University e autore del libro 2013 “La Cina diventa globale”.
“Abbiamo accolto la Cina perché, per la prima volta, avevamo una vera alternativa ad un’agenda a guida occidentale”, ha affermato Calle Schlettwein, ministro della Namibia di finanza. “I cinesi dicono: ‘Noi vogliamo che voi siate padroni del proprio destino, diteci quello che volete che facciamo’”, ma hanno anche le loro condizioni. “Vogliono de facto il controllo totale su tutto, è difficile determinare cosa sia meglio”.
I leader cinesi insistono sul fatto che l’influenza di Pechino in Africa e nel mondo sia del tutto benigna, ma non proprio tutti son d’accordo. E per alcuni namibiani gli investimenti Cinesi non valgono la mancanza di libertà che porta la presenza della Repubblica Popolare.
La Cina si propone di salvare il mondo, ma la sua è solo una nuova, moderna (e vecchia) forma di colonialismo?