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Arabia Saudita Iran

Vi racconto la guerra non più sotterranea fra Iran e Israele

Da qualche il giorno il tema “Israele” è tornato di modo in declinazione “conflitto siriano”: è una questione complessa, proviamo a spiegarla partendo dal marzo scorso. UN PO’ DI STORIA Esattamente il 17 marzo del 2017 Tel Aviv ha ammesso per la prima volta di aver compiuto un raid aereo in Siria. In realtà è…

Da qualche il giorno il tema “Israele” è tornato di modo in declinazione “conflitto siriano”: è una questione complessa, proviamo a spiegarla partendo dal marzo scorso.

UN PO’ DI STORIA

Esattamente il 17 marzo del 2017 Tel Aviv ha ammesso per la prima volta di aver compiuto un raid aereo in Siria. In realtà è noto che queste operazioni avvengono in modo discreto almeno dal 2013, ma quel giorno le circostanze sono cambiate per tre ragioni. Primo, i bombardieri israeliani sono penetrati in profondità per un paio di centinaia di chilometri nel territorio siriano; di solito invece sparano dalle alture del Golan utilizzando delle bombe a planata, che permettono agli aerei di non sconfinare e colpire i loro obiettivi una cinquantina di chilometri oltre il confine. Quella volta però i cacciabombardieri hanno dovuto colpire la base T4 dell’esercito siriano, un luogo simbolico nei pressi di un altro luogo simbolico, Palmira. La location è il secondo dei motivi per cui gli israeliani hanno ammesso apertamente la missione: la T4 è una base importante, conquistata, persa, riconquistata dai governativi nell’unico fronte aperto da Damasco contro l’Is. È il fulcro della battaglia di Palmira, la città patrimonio dell’Unesco che i russi hanno liberato e poi perso di nuovo sotto un’ondata baghdadista di ritorno e alla fine ripreso con tanto di manifestazioni e show che hanno portato l’osservatore disattento a pensare che davvero Putin è stato l’uomo forte contro il Califfo (disclaimer: non è così, la territorialità dello Stato islamico è venuta meno grazie alla Coalizione a guida americana che ne ha disarticolato le strutture difensive, i russi hanno conquistato solo Palmira, a fatica, e poco altro, ma questa è un’altra storia). Quando i soldati di Mosca scappavano dai miliziani di Califfo è stata la base T4 a dargli riparo: ma quella postazione è stata via via occupata dai militari iraniani e dai loro interessi (ci si tornerà). A marzo del 2017 quell’avamposto strategico nella lotta allo Stato islamico era evidentemente considerato un posto sicuro dagli iraniani, che lo stavano usando per passare ai miliziani Hezbollah libanesi missili Scud (tipo D, il più avanzato): per questo, come in tutte le altre occasioni, gli israeliani attaccarono. Israele sa che prima o poi, quando tutto il caos del conflitto siriano prenderà una forma stabile, gli iraniani aizzeranno contro di loro i proxy libanesi di Hezbollah, e la guerra congelata nel 2006 riprenderà (occhio: perché quel che succede tra Israele e Libano è anche affare italiano, visto che quegli Scud che Teheran fornisce ai propri vassalli libanesi in Siria, prendono la via di Beirut e finisco per armare le batterie posizionate nel sud del Libano, dove il contingente dei Caschi blu a guida italiana ha il compito di mantenere la pace).

LA RISPOSTA SIRIANA: ATTUALITÀ

Terzo motivo per cui Israele ha reso pubblico l’attacco di metà marzo scorso (a cui nei tre giorni successivi sono seguiti altri due raid) è che per la prima le batterie SA-5 siriane provarono a sparare contro gli aerei israeliani. Nell’evoluzione d’attualità della vicenda, nei giorni scorsi uno di questi missili contraerei siriani (forse partito da una batteria fissa SA-5 o forse da una mobile SA-17) è stato intercettato dai flares di un F-16 israeliano di ritorno da un altro raid aereo su una postazione iraniana (quindi anche di Hezbollah) sullo stesso luogo vicino Palmira. Il missile è comunque esploso molto vicino all’aereo israeliano, tanto da mettere in stallo il motore dell’F-16 che aveva nel mirino, e costringendo il pilota all’eiezione (gli esperti dicono che forse il pilota ha sbagliato, non ha seguito le rotte di volo radente nel ritorno ed è diventato un bersaglio facile). Risultato: quel che abbiamo sentito titolare dai media di tutto il mondo nei giorni scorsi, Israele bombarda la Siria, i siriani abbattano un caccia israeliano.

CHE COSA VUOLE ISRAELE DALLA SIRIA

Andiamo avanti. L’interesse israeliano sul conflitto siriano è diventato enorme. Per anni Tel Aviv ha fatto finta di non intromettersi nella guerra che si combatteva sull’uscio di casa sua, ma ha costantemente monitorato tutto. Satelliti, droni, intelligence sul campo, tracciano qualsiasi genere di movimento con un fine: gli iraniani, che dando il sostegno a Damasco insieme alla Russia si sono guadagnati i galloni per influenzare il futuro siriano, devono andarsene, allontanarsi il più possibile dai confini dello stato ebraico (c’è anche una red line ben precisa: se si avvicinano a meno di 40 chilometri li colpiamo, dicono gli israeliani). Questo è il patto esplicito con cui le diplomazie di Tel Aviv e Mosca portano avanti le loro relazioni. I russi possono curare i loro interessi, fino anche mantenere al potere un dittatore sanguinario come Bashar el Assad, a patto che permettano agli israeliani di seguire le linee di sicurezza nazionale: tra queste, usare lo spazio aereo siriano ogni volta che vogliono per colpire i passaggi di armi tra Iran e Hezbollah (la Russia ha il completo controllo dei cieli siriani, ma non ha mai mosso un dito negli oltre cento bombardamenti con cui negli anni i caccia israeliani hanno colpito i loro alleati, perché non hanno alcun interesse a inimicarsi Israele, che d’altronde con la Russia tratta perché è il principale alleato iraniano e l’unica leva utilizzabile per frenare la trasformazione della Siria nell’avamposto strategico contro Israele pensata da Teheran).

UN’EVOLUZIONE ATTESA

Quando sabato scorso sono uscite le notizie sull’F-16 precipitato, chiunque abbia un minimo di famigliarità con la crisi siriana non è sobbalzato sulla sedia, ma ha semplicemente registrato un’altra vicenda di questa incessante guerra-nella-guerra che Israele sta conducendo; con la preoccupazione che però il livello di scontro sta via via crescendo, perché un conto è colpire un convoglio di camion pieni di armi date agli Hezbollah, un conto è colpire una base iraniana. Cos’è successo, dunque? La mattina di sabato 10 febbraio, i soldati iraniani hanno fatto decollare un drone da quella base vicino Palmira, lo hanno fatto entrare nello spazio aereo israeliano (motivi: provocazione? Raccolta dati? Indurre gli israeliani a colpire in Siria perché avevano le batterie anti-aeree pronte?) dove è rimasto per 90 secondi: poi un elicottero da combattimento Apache lo ha abbattuto. Successivamente sono subito partiti i caccia F-16, che hanno colpito a Palmira i sistemi di guida per i velivoli senza pilota inviati in Siria da Teheran (e utilizzati tanto per combattere lo Stato islamico tanto per monitorare Israele), e hanno sfasciato gran parte del sistema di difesa anti-aerea siriano, in un’azione pubblica senza precedenti (se si escludono le attività di guerra di quasi quarant’anni fa).

POI ARRIVA IL GOLAN

Il prossimo fronte, ovviamente, è rappresentato dal territorio conteso del Golan, dove gli Hezbollah e gli iraniani stanno spostando i propri posizionamenti anti-israeliani, sotto l’attenta osservazione dei militari di Tel Aviv già dal 2014, sfruttando anche i miliziani palestinesi con cui hanno in comune la stessa causa d’odio: lo stato degli ebrei. Quando nel 2015 i movimenti superarono una soglia di tolleranza, con i Pasdaran iraniani che stavano fornendo consulenza ai loro miliziani (libanesi e palestinesi) su come creare una piattaforma di attacco contro Israele in quell’area, un drone dell’Heyl HaAvir sconfinò in Siria e bombardò, uccidendo il figlio di un leader quasi mitologico del gruppo Hezbollah e un ufficiale di Teheran (e non scoppiò una guerra, perché gli iraniani sanno che quelli sono rischi calcolati di certe operazioni clandestine).

LA GUERRA CHE VERRÀ

Dunque, non è una costruzione fantasiosa pensare che già il 2018 possa essere l’anno in cui la guerra tra Hezbollah – e/o Iran – e Israele riprenderà (di nuovo: considerare la cosa come argomento accademico di politica estera è limitante: visto che a garantire la pace dopo l’incursione israeliana del 2006 ci sono, già detto, i soldati italiani, la faccenda è anche una questione di interesse nazionale per l’Italia che tra qualche settimana andrà al voto, ma gli Esteri latitano tra i programmi delle forze politiche, figuriamoci certi approfondimenti). E c’è una aspetto da tenere a mente: da quando il nuovo presidente libanese è stato nominato col sostegno esplicito di Hezbollah, Israele ha fatto sapere che ritiene Beirut responsabile delle mosse del partito/milizia, e dunque un eventuale attacco sul proprio territorio sarà considerato un atto di guerra da parte del Libano. Del Libano, non del gruppo paramilitare sciita, ma va da sé che visto il coinvolgimento iraniano, Teheran si sentirebbe chiamata in causa, e il fronte si amplierebbe in modo notevole, dato che gli ayatollah hanno mosso milizie confessionali straniere portandole in Siria a puntellare Damasco e con l’idea strategica di farle restare lì, a controllare il paese, acquartierate come punta di lancia contro Israele (per capirci: il 9 dicembre dello scorso anno è stato pubblicato il video in cui viene ripreso il comandante militare della Lega dei Giusti, una milizia sciita irachena totalmente dipendente dall’Iran, in visita al confine sud libanese, a un passo dal territorio israeliano, accompagnato dai compari iraniani). A dicembre Israele ha bombardato una base in Siria, vicino Damasco, dove gli iraniani intendevano piazzare cinque mila uomini da loro controllati; in altre occasioni ha colpito depositi e trasferimenti di armi sofisticate come le armi chimiche (che in teoria Damasco avrebbe dovuto distruggere in toto per accordo con l’Onu, ma l’intelligence israeliana fa sapere fin dal 2016 di tracciarne ancora diverse, alcune usate dal regime impostore, altre dirette nelle mani degli Hezbollah).

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