La Germania si conferma il principale obiettivo dei profughi in marcia dal medio e lontano Oriente e dall’Africa. Italia, Spagna, Balcani e Grecia rappresentano solo tappe intermedie
La notizia di per sé non dovrebbe suscitare stupore: la Germania ha espletato nella prima metà di quest’anno un numero di richieste di asilo superiore a quello di tutti gli altri 27 Stati dell’Unione Europea messi insieme. A lanciarla è stata per prima la Welt, l’ammiraglia del gruppo Springer, sulla base dei dati elaborati dall’istituto di statistica europeo Eurosat: è stata quindi rilanciata prima da tutti i media tedeschi, poi da molti giornali europei. Nei primi sei mesi del 2017, gli uffici immigrazione della burocrazia tedesca – tanto criticati per l’impreparazione e l’inefficienza dimostrate nei mesi del grande afflusso fra il 2015 e il 2016 – hanno completato l’esame di 357.625 richieste di asilo, contro le 199.405 di quelle in tutti gli altri paesi dell’Ue.
Sempre secondo l’Eurosat, le autorità tedesche avrebbero accolto poco più della metà di tali richieste – 182.525 – respingendo in prima istanza l’altra metà.

Quali che siano i numeri esatti, la misura di massima non cambia di molto: la Germania si conferma il principale obiettivo dei profughi in marcia dal medio e lontano Oriente e dall’Africa, per i quali luoghi come Italia, Spagna, Balcani e Grecia rappresentano solo tappe intermedie. Ecco perché il dato emerso dall’Eurosat non suscita troppo stupore: gli immigrati ritengono che la florida economia tedesca fornisca maggiori opportunità di trovare lavoro e assicurarsi un futuro di dignità e benessere. Inoltre l’esistenza in Germania di vaste comunità afghane, siriane o irachene è un’altra calamita che attira. Ma a gonfiare la cifra complessiva dei questionari piovuti sui tavoli dei funzionari tedeschi ha pesato soprattutto il ritardo accumulato dalla fine del 2015, picco del più alto afflusso di profughi attraverso la rotta balcanica, fino a metà 2016. Mesi in cui il rinomato sistema burocratico tedesco è andato in tilt, tanto che il governo fu costretto a rimodulare tra i ministeri la gestione dei profughi e il titolare dell’Interno rivoluzionò i vertici del Bamf, affidandone la guida a un funzionario di polso. Ancora un anno fa, nell’autunno 2016, di fronte ai funzionari del Bamf si innalzava una montagna di 580.000 domande di asilo inevase.
C’è voluto del tempo perché la situazione tornasse alla normalità. Nel frattempo quei picchi di ingressi non si sono più ripetuti. La chiusura della rotta balcanica, prodotta dal blocco dell’Austria con i paesi balcanici e dall’accordo Ue-Turchia, ha interrotto il flusso terrestre, dirottandolo nuovamente sul Mediterraneo centrale, tra Libia e Italia. E l’Italia, dal canto suo, ha svolto con scrupolo il compito di controllo e arresto dei profughi sbarcati sulle sue coste, nonostante Vienna minacciasse un giorno sì e l’altro pure di spedire i soldati al Brennero. Dall’aprile del 2016 ad oggi una media di 15.000 migranti al mese ha continuato a chiedere asilo politico in Germania: è un dato costante, senza sbalzi, stabile e neppure troppo alto. In un anno non si raggiungerebbe neppure quel tetto massimo di 200.000 profughi che è stato il tormentone del partito bavarese alleato di Angela Merkel in ogni trattativa politica. L’ultimo dato disponibile si riferisce allo scorso ottobre, quando il ministero dell’Interno ha registrato 15.700 richieste.
Il resto lo ha fatto la ritrovata efficienza dell’amministrazione, irrobustita da assunzioni a tempo di nuovo personale, passato in poco tempo da 2.000 a 7.600 unità. Oggi sui tavoli restano ancora circa 80.000 domande che si pensa saranno espletate entro la fine dell’anno.
L’impatto tuttavia è stato ed è enorme sulla società tedesca e anche sulle casse statali, dal momento che solo il rafforzamento dell’organico degli uffici per l’immigrazione ha consumato una parte del prezioso tesoretto che l’ex ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble aveva racimolato con le politiche di risparmio.
Un confronto con gli altri paesi europei dà la misura dello sforzo tedesco. Sempre secondo l’Eurosat, nello stesso lasso di tempo la Francia ha dovuto far fronte a 50.400 richieste di asilo, di cui solo 16.600 hanno ricevuto esito positivo. In Italia sono state 38.000, 16.400 quelle accolte. Gli uffici competenti di Austria e Svezia, altri paesi che erano stati inseriti nella lista degli obiettivi preferiti dai profughi, hanno sbrigato rispettivamente 26.500 e 25.000 richieste, di cui 16.600 sono state accolte a Vienna e 12.700 a Stoccolma. Numeri di fatto irrilevanti sono invece stati registrati nei paesi dell’Europa centro-orientale, che hanno opposto una dura resistenza a tutti i piani di ricollocamento chiesti ripetutamente quanto inutilmente dal commissario europeo Jean-Claude Juncker. Bisogna riconoscere che la Germania ha compiuto uno sforzo enorme e che quello che molti osservatori in Europa considerano un errore di Angela Merkel – l’apertura delle frontiere nel settembre 2015 – ha probabilmente evitato che quella folla di disperati in fuga da guerre e miserie si riversasse su altri paesi europei, probabilmente di nuovo sui soliti posizionati ai confini esterni dell’Unione Europea. Un gesto di solidarietà, generoso quanto forse ingenuo, che ha suscitato entusiasmi iniziali e successivi rifiuti, che ha polarizzato la società, inasprito il confronto, infine avviato la politica tedesca sul terreno inedito dell’incertezza e dell’instabilità politica.








