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Germania, falliscono trattative per nuovo Governo. Addio a coalizione Giamaica

La coalizione Giamaica sarebbe stata la scommessa di un governo diverso per la Germania, ma le trattative falliscono. E la Merkel non riesce a formare un nuovo Governo    Il fallimento dei colloqui per la formazione di una coalizione Giamaica ha gettato la Germania nella terra per lei sconosciuta dell’incertezza politica. Nel momento in cui…

La coalizione Giamaica sarebbe stata la scommessa di un governo diverso per la Germania, ma le trattative falliscono. E la Merkel non riesce a formare un nuovo Governo 

 

Il fallimento dei colloqui per la formazione di una coalizione Giamaica ha gettato la Germania nella terra per lei sconosciuta dell’incertezza politica. Nel momento in cui i liberali hanno preso cappello e abbandonato il tavolo con i democristiani di Cdu e Csu e gli ecologisti dei Grünen, si è chiusa la breve illusione di un governo che potesse coniugare tradizione, innovazione e ambientalismo e di un esperimento affascinante che aprisse alla Germania nuovi scenari politici. A meno di clamorosi ripensamenti sulla cancelleria di Berlino non sventolerà la bandiera nero-giallo-verde della Giamaica.

germaniaInvece il pallino è tornato in mani istituzionali, quelle del presidente federale. Tocca a Frank-Walter Steinmeier gestire la fase più delicata della storia politica della Bundesrepublik, individuando la stretta via che giunga a un accordo non convenzionale ed eviti il ritorno alle urne.

Che il mito della stabilità tedesca stesse ormai vacillando sotto i colpi delle tensioni sociali (accentuate anche dallo straordinario fenomeno migratorio del biennio precedente) era stato già evidente all’indomani del voto, che aveva prodotto un Bundestag frammentato, con sette partiti, due dei quali ritenuti inaffidabili per maggioranze di governo – i post comunisti della Linke e soprattutto l’estrema destra nazional-populista di Afd.

I segnali venivano in realtà da lontano, accuratamente occultati dalle buone prestazioni economiche, dai bilanci in equilibrio, dal Pil in crescita e dal boom sul mercato del lavoro (sebbene in parte di tipo precario). Da tempo la Politikverdrossenheit, la “delusione verso la politica”, era diventata un concetto chiave nelle analisi del rapporto fra eletti ed elettori in Germania. Lo si rintracciava anche nel progressivo dimagrimento dei partiti di massa, non più in grado di tenere il passo con la frammentazione della società e dei suoi bisogni. E la Grosse Koalition, ripetuta per due volte in tre legislature, era stata allo stesso tempo una risposta e un segnale di emergenza.

La coalizione Giamaica sarebbe stata la scommessa di un governo diverso, capace di rimescolare le carte di divisioni politiche novecentesche. Ma per partorirlo ci sarebbe voluta una visione politica coraggiosa, una prospettiva strategica che è evidentemente mancata alle parti coinvolte. A cominciare dalla cancelliera, che è sembrata gestire questa occasione rivoluzionaria con il piglio minimalista di sempre, forse non adatto alla sfida che l’attendeva. In due mesi di colloqui (le trattative vere e proprie non erano ancora iniziate) si è sedimentata un’agenda di compromessi al ribasso che alla fine non ha convinto nessuno, né i liberali che si sono sfilati, né gli altri ora impegnati a scaricarsi vicendevolmente la responsabilità del fallimento.

“Nessun progetto, nessuna fantasia, neppure un serio tentativo”, ha commentato la Süddeutsche Zeitung, “i colloqui fra Unione, Fdp e Grünen sono falliti perché non si è riusciti a sviluppare una idea comune. Tutti hanno perduto”. Il presidente dell’Fdp Christian Lindner ha chiarito i motivi del no liberale: “Volevamo un cambio politico, allo stato delle cose non era possibile”. E Volker Wissing, esponente di punta dell’ala economica dell’Fdp, ha specificato: “Sarebbe stato irresponsabile partecipare a un governo che avrebbe proseguito quella politica della Grosse Koalition che ha portato alla crescita di Afd”. Ma sui liberali piove l’accusa di Cdu e Verdi di aver giocato una partita sporca, tutta giocata su interessi di parte, e di aver rifiutato.

Immigrazione, tasse, energia e innovazione sono i temi su cui le trattative si sono incartate. Dissensi si erano sommati sulla messa al bando dei motori a combustione interna e sulla chiusura delle centrali a carbone. Ma anche sulle risorse da destinare alla digitalizzazione delle imprese, alle infrastrutture per affrontare le sfide dell’industria 4.0 e dell’informatizzazione nella pubblica amministrazione e della modernizzazione della società. Secondo molti esperti, il successo economico della Germania poggia ancora oggi su un sistema non adeguato ad affrontare le sfide future. Un nuovo governo deve essere in grado di introdurre le riforme necessarie per assicurare anche a lungo termine la competitività e l’attuale livello di benessere del paese. Ma un esecutivo basato su compromessi al ribasso e su un troppo minimo comun denominatore non sarebbe stata la risposta adeguata.

MerkelLo stallo tedesco non è però solo un problema interno alla Germania. Dato il peso assunto nell’ultimo ventennio da Berlino, l’incertezza politica tedesca (di paralisi non è il caso di parlare, giacché almeno per l’ordinaria amministrazione è in carica il governo uscente) si riflette sull’Unione Europea. Il progetto di riforma europeo lanciato dal nuovo presidente francese Emmanuel Macron attende il confronto con Berlino: c’è da concordare il percorso per restituire funzionalità ed efficienza all’Unione Europea che ha già trovato sostenitori e oppositori fra i paesi membri. Ma è inimmaginabile che qualcosa possa muoversi senza il contributo tedesco, che su alcuni punti del piano Macron è già apparso critico. Ma ci vuole un nuovo governo, con il suo programma strategico di politica europea, per affrontare un dossier decisivo per il futuro del continente. Così lo stallo di Berlino diventa anche lo stallo di Bruxelles: una condizione di debolezza nella competizione globale con Cina, Usa, Russia e altre medie potenze asiatiche.

Una debolezza che ora investe direttamente la cancelliera. Nei prossimi giorni Angela Merkel lotterà soprattutto per la sua sopravvivenza politica. Al modesto risultato elettorale della sua Cdu è seguito il fallimento del suo tentativo di formare un nuovo governo. Il partito è da tempo inquieto, nella gemella Csu bavarese è in corso una lotta interna della leadership che potrebbe portare alla defenestrazione del suo leader, Horst Seehofer. L’Spd ha rinnovato il rifiuto a formare una nuova Grosse Koalition sotto la sua guida, un governo di minoranza non ha alcuna tradizione in Germania e Merkel dovrebbe logorarsi nel ricercare ogni volta una maggioranza parlamentare per i suoi provvedimenti. Senza un ritorno al tavolo delle trattative dei partiti che l’hanno appena fatto saltare, la strada verso nuove elezioni diventa inevitabile. E al momento il risultato che i sondaggi indicano più probabile è una fotocopia di quello del 24 settembre. E può capitare che qualcuno faccia notare alla cancelliera che tutte le strade non conducano più alla sua persona.

Pierluigi Mennitti

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