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Industria

Perché sono eccessivi i festeggiamenti su fatturato e ordinativi dell’industria

Il commento dell’economista Gianfranco Polillo sugli ultimi dati Istat relativi dell’industria Gli ultimi dati su fatturato e ordinativi, elaborati dall’Istat, hanno dato luogo a un giusto ottimismo. Il dato più gettonato è stato il confronto con gli anni passati. “L’indice destagionalizzato – scrive l’Istituto di statistica – raggiunge il livello più elevato (110,0) da ottobre…

Gli ultimi dati su fatturato e ordinativi, elaborati dall’Istat, hanno dato luogo a un giusto ottimismo. Il dato più gettonato è stato il confronto con gli anni passati. “L’indice destagionalizzato – scrive l’Istituto di statistica – raggiunge il livello più elevato (110,0) da ottobre 2008”. Tutto bene, quindi, a patto di non esagerare e non farsi prendere dalla sindrome elettorale. Viste in controluce, infatti, alcune contraddizioni risultano evidenti. A partire dal confronto con gli indici della produzione industriale, che non mostrano un’analoga performance. In generale fatturato ed ordini crescono di più rispetto all’andamento della produzione industriale. Il sintomo di un certo affanno. Le scorte accumulate nei mesi precedenti sono considerate più che sufficienti per far fronte agli impegni presenti e futuri. E di conseguenza le aziende rallentano nei loro ritmi di produzione.

Secondo elemento di riflessione: la diversa dinamica che si registra tra gli ordinativi ed il fatturato relativi al mercato interno e quelli che provengono dall’estero. Anche in questo caso la prevalenza dei secondi sui primi se da un lato dimostra la grande capacità delle aziende italiane di essere competitive sui grandi mercati internazionali. Dall’altro fa emergere il vero handicap che pesa sulla situazione italiana. E’ la debolezza del mercato interno che impedisce di avere un ritmo di crescita maggiore. Una domanda interna che rimane ancora troppo contenuta, nonostante qualche segnale di risveglio, frena le maggiori possibilità di sviluppo, sebbene le aziende italiane – come mostrano i dati relativi all’export – siano in grado di produrre a prezzi competitivi.

Le cause che impediscono al mercato interno di crescere in modo adeguato sono diverse. Compresa l’incertezza legata all’evolversi della situazione politica. Ma è soprattutto il peso dei livelli di disoccupazione a far deragliare il treno. Il suo eccesso, unito alle forme di precarizzazione, induce le famiglie italiane alla massima prudenza. I giovani ritardano la realizzazione dei propri progetti di vita, non essendo posti in condizioni di poter sostenere i costi relativi. I lavoratori più anziani si sobbarcano dell’onere del welfare familiare, contribuendo con le loro retribuzioni al sostentamento dei propri congiunti. I consumi, pertanto, sono ridotti al minimo indispensabile. Ed allora il prevalente volano dell’economia rimane la componente estera.

Come uscire da questo cul de sac non sarà facile. Pensare di aumentare le buste paghe degli insider, come sta avvenendo sia con i rinnovi contrattuali che con bonus di varia natura, è solo una soluzione dispendiosa e con effetti molto ritardati. I dati della congiuntura dimostrano che un certo aumento dei consumi si è verificato, dando ossigeno alla crescita del Pil. Ma, al tempo stesso, le distanze con il resto dell’Eurozona sono ulteriormente cresciute alimentando l’imbarazzo nei confronti di uno dei più importanti partner europei. Che non riesce a stare al passo né con i grandi – Francia e Germania – né con i Paesi più piccoli, come la Spagna o il Portogallo. E’ giunto, quindi, il tempo di sperimentare nuove terapie.

La soluzione ottimale non può che coincidere con un aumento degli investimenti pubblici e la riduzione del carico fiscale: elementi che dovrebbero costituire il cardine della prossima politica economica. Obiettivo è accrescere il livello d’occupazione, per avere effetti permanenti sui livelli di consumi e, quindi, rilanciare la domanda interna e, con essa, il tasso di crescita complessiva dell’economia. Una sfida difficile, per le implicazioni ch’essa comporta sul piano delle riforme interne (appalti, diritto civile, burocrazia e via dicendo), ma anche possibile. Sempre che ci sia un governo che non si limiti a galleggiare.

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