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Industria

Vi spiego il vero stato dell’economia italiana (senza illusioni e fuochi d’artificio)

Il commento di Gianfranco Polillo parte dagli ultimi andamenti congiunturali targati Istat per delineare analogie e differenze tra Italia e Germania e con alcuni consigli al prossimo Parlamento… Buone le ultime previsioni Istat sugli andamenti congiunturali dei prossimi mesi, ma molto dipenderà dall’evolversi della situazione politica. L’Italia non è la Germania che può permettersi il…

Buone le ultime previsioni Istat sugli andamenti congiunturali dei prossimi mesi, ma molto dipenderà dall’evolversi della situazione politica. L’Italia non è la Germania che può permettersi il lusso di una lunga trattativa, quale quella che si è sviluppata tra Angela Merkel e l’Spd. Gli elementi positivi del quadro congiunturale sono tutti legati all’andamento della componente estera, che trascina con sé gli investimenti delle aziende più legate al commercio mondiale. Mentre frenano i consumi interni rispetto ai mesi precedenti. Un segnale che va visto con una certa apprensione.

In genere il traino delle esportazioni rappresenta una leva importante per rimettere in moto l’intera economia. Negli anni del “miracolo economico” fu questo l’elemento principe che consentì ad un Paese ancora prevalentemente agricolo e duramente colpito dalla guerra, come l’Italia, di procedere lungo la strada dell’industrializzazione. La crescita dei salari, nonostante gli enormi sacrifici interni di una scomposta migrazione dal mezzogiorno verso le aree industriali, fu elemento di riscatto sociale per migliaia di ex contadini. Giunsero a Torino o a Milano per scoprire, in quelle città, nuovi modelli di vita e una realtà completamente diversa.

Ma pensare che oggi possa essere ancora questo il modello da seguire è solo una grande illusione. Sebbene l’Italia abbia preservato una buona parte del suo potenziale industriale, i concorrenti esteri consentono solo spazi di mercato limitati. Che non hanno la massa critica sufficiente per una diffusione espansiva dei ritmi di crescita. Inoltre la realtà italiana si scontra con un limite che non è presente nella realtà tedesca. Mentre Berlino può contare sui territori degli ex Paesi socialisti, dove delocalizzare gran parte della sua produzione industriale, approfittando della transizione ancora incompiuta di quei Paesi, in Italia non esiste più un “esercito di riserva”, come quello degli anni ’60, in grado di alimentare le grandi imprese fordiste.

Circa l’80 per cento della sua popolazione è “ceto medio”. Ed è difficile ipotizzare una sua riconversione, seppure parziale, verso il lavoro operaio. Come dimostra la segmentazione intervenuta nel mercato del lavoro: la ricerca spasmodica di un impiego alle poste e la carenza di mano d’opera specializzata. Ed ecco allora che in una prospettiva di medio periodo, come può essere la legislatura appena iniziata, i segnali che ancora permangono in positivo, devono essere interpretati con grande cautela. Va bene la crescita delle esportazioni e degli investimenti nei settori partecipi al processo di globalizzazione, ma sullo sfondo restano i problemi di un’economia avanzata, quale riflesso di una società evoluta che deve guardare avanti. Uscendo dal “piccolo mondo” la cui spinta propulsiva è destinata, inevitabilmente, a rallentare.

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