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Vi spiego il rompicapo-Def tra Padoan, Di Maio, Salvini e Berlusconi

L’analisi di Gianfranco Polillo, ex sottosegretario all’Economia, su quello che succederà al Def prossimo venturo Se è vero che del “diman non v’è certezza” per riprendere la canzone di Bacco di Lorenzo il Magnifico, forse è meglio soprassedere. Evitare, cioè, che decisioni poco riflettute possano svegliare il can che dorme. Ossia spingere i mercati, in…

Se è vero che del “diman non v’è certezza” per riprendere la canzone di Bacco di Lorenzo il Magnifico, forse è meglio soprassedere. Evitare, cioè, che decisioni poco riflettute possano svegliare il can che dorme. Ossia spingere i mercati, in una settimana che presenta molte incognite – rinnovo di una notevole quantità di titoli di Stato e giudizio delle agenzie di rating – ad anticipare il loro giudizio sulla confusa situazione italiana. Ed allora meglio seguire le orme che traccerà Via XX Settembre. Accettare, cioè il fatto, che il nuovo Def altro non sarà che la proiezione della “legislazione vigente”. Nessun impegno programmatico, che spetterà al prossimo governo, se mai vedrà la luce, ma solo una proiezione di ciò che è già successo nei mesi precedenti: il “tendenziale”, appunto.

Si dice che l’eventuale risoluzione parlamentare potrebbe configurare il bozzolo programmatico del governo che verrà. Auguri. Se vi fossero queste condizioni sarebbe giusto approfittarne. Ma qual è il grado di realismo di questa previsione? Sommare, insieme, vista l’indisponibilità del Pd a partecipare alla contesa, “reddito di cittadinanza” e flat tax? Per quanto un’intesa sia più che auspicabile, bisogna ammettere che i tempi, almeno per il momento, non sembrano maturi. Anche per una ulteriore complicazione. Qualsiasi proposta programmatica, per quanto giusta e necessaria, è destinata ad alterare il quadro di finanza di pubblica, che Pier Carlo Padoan sembra intenzionato ad inviare al Parlamento. La sua eventuale approvazione richiederà pertanto la maggioranza assoluta dei due rami del Parlamento. Un triplo salto mortale: verrebbe meno, in questo caso, la grande risorsa delle possibili astensioni. Lo schema che potrebbe garantire, in prospettiva, la nascita di una maggioranza, cui affidare le sorti del Paese.

Un rompicapo: come si vede. Anche se meno drammatico di quanto a prima vista potrebbe apparire. Il piano B potrebbe consistere in distinte risoluzioni, in cui ciascuna forza politica ribadisce gli elementi irrinunciabili del suo programma elettorale, ma senza incidere sulla carne viva dei saldi di finanza pubblica. Un manifesto più che un anticipo di quello che sarà. In questo caso il vero confronto politico, nella speranza che nel frattempo vi possa essere un governo nella pienezza delle sue funzioni, avverrebbe a settembre, quando sarà varata la Nota di variazione al Def, che rappresenta l’architrave della successiva legge di stabilità. Nei mesi che restano da oggi a quella data, si andrebbe avanti con una sorta di normale amministrazione, basata sul pregresso. Ossia sulle norme approvate nella legge di stabilità per il 2018.

E’ uno stare con le mani in mano? Fino ad un certo punto. Com’è noto la Commissione europea aveva chiesto all’Italia una correzione dei conti pubblici pari a circa 3,5 miliardi di euro, da realizzare nel corso del 2018. Richiesta fatta pervenire, seppure in modo non ultimativo, prima che l’Istat pubblicasse il consuntivo sull’andamento effettivo dei conti pubblici italiani. Consuntivo che ha mostrato qualche lieta novella. L’indebitamento è risultato, infatti, meno elevato di quanto originariamente previsto dal “programmatico” della Nota di variazione al Def dello scorso anno: -1,9 per cento del Pil, contro il -2,1. Di conseguenza l’avanzo primario (differenza tra il complesso delle entrate e delle spese al netto degli interessi) è migliorato di una percentuale analoga: passando dal previsto 1,7 all’1,9 per cento. Grazie all’invarianza della spesa per interessi: pari al 3,8 per cento del Pil.

Quella differenza dello 0,2 per cento del Pil equivale esattamente ai 3,5 miliardi, contenuti nella richiesta di Bruxelles, che potrebbe pertanto essere neutralizzata. E’ poca cosa? Sarebbe riduttivo. Il nodo di fondo che condiziona l’economia italiana rimane il Fiscal compact. Un cappio che diverrà ancora più stringente se dovesse verificarsi quella caduta nei ritmi del commercio internazionale che la spirale del protezionismo sembra minacciare. Avviare un confronto serio con Bruxelles su questi temi diventa quindi cruciale. E Roma qualche freccia al suo arco la possiede. Sempre che si abbia la cultura necessaria per sostenere un confronto, che non è necessariamente scontro. Ma arte della convinzione. Ed ecco allora che la richiesta, per così dire, di “moratoria” rispetto ad una manovra aggiuntiva che non ha alcun fondamento, potrebbe divenire solo il primo atto di una strategia ben più impegnativa.

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