skip to Main Content

Brexit

Brexit, ecco le linee guida dell’Ue

L’Europa ha approvato in via definitiva le linee guida per i negoziati sulla Brexit. Sarà un accordo a fasi e non punitivo   Un’Europa più forte, nei negoziati Brexit, se unita. Un’Europa che chiede, senza prima concedere tanto. Un’Europa che non intende punire, ma che ribadisce l’esigenza e la necessità di un accordo a fasi.…

L’Europa ha approvato in via definitiva le linee guida per i negoziati sulla Brexit. Sarà un accordo a fasi e non punitivo

 

Un’Europa più forte, nei negoziati Brexit, se unita. Un’Europa che chiede, senza prima concedere tanto. Un’Europa che non intende punire, ma che ribadisce l’esigenza e la necessità di un accordo a fasi. È questo che si percepisce dall’approvazione delle linee guida europee per il negoziato, votate all’unanimità e senza discussioni in soli 4 minuti, come ha riportato il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, per approvare le linee guida concordate nei giorni scorsi dagli “sherpa”.

“E’ la prima volta che accade nella storia dell’Ue ed è la cosa più importante della mia vita politica”, ha commentato Tusk. “Un mandato politico solido ed equo dei 27 per i colloqui sulla Brexit è pronto”. Ma andiamo per gradi.

I tempi

Si aspetterà il nuovo governo inglese. I negoziati partiranno all’indomani del voto anticipato dell’8 giugno.

Nessuna punizione a Londra

Nessuna punizione per chi lascio l’Unione, ma è certo che i 27 non intendono fare concessioni a Londra, almeno fino a quando il Regno Unito non avrà acconsentito alle priorità dell’Ue su diritti dei cittadini, impegni finanziari e frontiera tra Irlanda e Irlanda del Nord.

“Nessuno è alleato contro la Gran Bretagna”, ha commentato la cancelliera tedesca Angela Merkel rispondendo alle accuse fatte dal premier britannico Theresa May, convinta che l’Ue si sia unita contro il Regno Unito.

Accordo a fasi

Si procederà in due fasi: quella della separazione (prima) e quella di nuovi accordi per siglare nuova partnership. I negoziati dovranno chiudersi entro due anni e l’obiettivo dei 27 è chiudere la prima parte entro ottobre 2018.

Cosa chiede l’Ue?

brexitTre gli argomenti principali che dovranno essere discussi con Londra. Il primo è quello delle garanzie reciproche per i cittadini europei che vivono nel Regno Unito e per i britannici residenti negli altri paesi Ue. Il secondo sarà quello degli aspetti finanziari e poi ci sarà da risolvere la questione Irlanda.

Sui diritti dei cittadini europei residenti nel Regno Unito, l’Europa chiede l’acquisizione della residenza permanente dopo un periodo continuativo di cinque anni di residenza legale e che i cittadini possano essere in grado di esercitare i loro diritti attraverso procedure amministrative semplici. 

In tema finanziario, l’accordo dovrebbe includere non solo gli impegni assunti nel bilancio pluriennale dell’Ue, ma anche nell’ambito della Banca Europea degli Investimenti, del Fondo Europeo di Sviluppo e della Banca Centrale Europea. I negozionati dovranno assicurare che sia l’Unione sia il Regno Unito rispettino gli obblighi. In pratica, il Regno Unito dovrebbe continuare a contribuire al bilancio comunitario come se fosse uno stato membro anche dopo la sua uscita formale nel 2019, forse fino al 2021.

La questione Irlandese

L’Europa si preoccuperà di discutere anche della questione irlandese. L’accordo siglato il Venerdì Santo fra Irlanda e Regno Unito, nel 1998, ha stabilito le basi per la pace nell’Irlanda del nord e prevede che nel caso di una riunificazione dell’isola, lo stato che ne risulterebbe farebbe automaticamente parte dell’Ue senza processo di adesione.

Elezioni anticipate

Theresa-May-BrexitGran Bretagna al voto l’8 giugno. Una sorpresa, perchè fino ad oggi Theresa May, che è succeduta meno di un anno fa alla guida del Governo, senza passare per le urne, dopo la sconfitta dell’allora primo ministro David Cameron al referendum sulla Brexit del 23 giugno, aveva sempre detto di voler arrivare in fondo all’attuale legislatura (2020).

In questi mesi, però, dovranno iniziare le trattative per la Brexit e la May preferirebbe che ad intavolare le richieste da parte di Londra fosse il nuovo primo ministro scelto dal popolo. O almeno così è stato annunciato da Theresa May in un inatteso discorso alla nazione, dinanzi al numero 10 di Downing Street.

Il cambio di rotta c’è stato a seguito di una riunione del Consiglio dei Ministri. La scelta è stata spiegata come necessaria per dare “certezza e stabilità” al regno, a fronte delle proteste e resistenze delle opposizioni e della Camera dei Lord sul divorzio dall’Ue.

“La Brexit è nell’interesse nazionale ma gli altri partiti si oppongono” ha affermato nelle scorse ore Theresa May, chiedendo ai britannici di votare per il Partito Conservatore per portare a compimento il divorzio da Bruxelles. La May, ovviamente, sponsorizzava se stessa, invitando a “non sottovalutare la (sua) determinazione a portare a compimento il lavoro” verso la Brexit. “Il Paese vuole unirsi, ma Westminster si divide”, sul tema del negoziato con l’Ue.

Laburisti favorevoli, ma sondaggi sfavorevoli

Se è vero che i laburisti sono favorevoli alle elezioni anticipate, dal momento che sperano con queste di cambiare l’attuale direzione intrapresa da Londra ed evitare il disastro di una Brexit dura, con l’uscita dal mercato unico, è vero anche che l’8 giugno è davvero vicino e che al momento i sondaggi sono poco favorevoli. In particolare, i sondaggi danno i conservatori avanti di 20 punti.

Brexit solo una scusa politica

Jeremy Corbyn

Jeremy Corbyn

I trattati sulla Brexit e le difficoltà che le opposizioni stanno ponendo sull’uscita dall’Ue rappresentano solo una scusa politica. Il vero motivo per cui la May ha cambiato idea sulle elezioni anticipate è quello di avere l’opportunità di vincere a mani basse contro il proprio avversario.

Sì, è la catastrofica condizione di debolezza in cui versano la laburisti il motivo per portare al voto l’8 giugno. C’è da dire, infatti, che anche i parlamentari laburisti sono preoccupati dalla mancanza di un programma e dai sondaggi che mostrano l’assoluta impopolarità di Corbyn.

La leadership di Corbyn, purtroppo, ha confuso il profilo laburista sui grandi temi del rapporto con l’Europa, poco convinto sulle ragioni della Brexit e mai davvero impegnato nella battaglia per il Remai; delle politiche economiche, dell’immigrazione e del libero commercio.

Dunque, rimandare le elezioni al 2020 significherebbe sì continuare a guidare la Gran Bretagna, ma anche concedere tempo prezioso al partito laburista, che potrebbe riorganizzarsi. Ed ecco che su tutto vince la tentazione di chiudere ora i giochi con i Laburisti, programmando un’elezione da cui con ogni probabilità i Conservatori usciranno vincitori.
Una eventuale sconfitta dell’8 giugno, comunque, potrebbe portare i laburisti a chiudere definitivamente con Corbyn, portando ad una rinascita del partito.

Back To Top