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Brexit

Brexit: iniziano i negoziati. Cosa potrebbe cambiare

Al via i negoziati per la Brexit. Si decidono le regole del gioco per chi esce dall’Ue, non solo per Londra La Brexit prende il via. Meglio, i negoziati per la Brexit prendono il via, a un anno dal referendum che ha sancito la vittoria del “Leave”. Si tratta di una fase davvero delicata e…

Al via i negoziati per la Brexit. Si decidono le regole del gioco per chi esce dall’Ue, non solo per Londra

La Brexit prende il via. Meglio, i negoziati per la Brexit prendono il via, a un anno dal referendum che ha sancito la vittoria del “Leave”. Si tratta di una fase davvero delicata e i motivi sono diversi. Non si tratta di un accordo solo Londra-Ue, ma di qualcosa di più profondo, che potrebbe cambiare scenari attuali e futuri. Ma andiamo per gradi.

L’apertura dei negoziati

I negoziati hanno preso il via questa mattina alle ore 11, nella sede della Commissione Ue a Bruxelles. A negoziare per i Ventisette è Michel Barnier; dall’altra parte c’è il segretario di Stato britannico per l’uscita dall’Unione europea, David Davis.

“Spero che oggi si possano identificare priorità e calendario che mi permetta di riferire al Consiglio europeo, che abbiamo avuto un apertura costruttiva dei negoziati”, ha commentato Michel Barnier.  

“Sebbene ci siano senza dubbio tempi di sfida davanti a noi, faremo tutto il possibile per dare un accordo che sia nel miglior interesse di tutti i cittadini”, ha invece commentato David Davis.

Oggi si terrà solo un primo round di negoziati per il divorzio.

Un precedente importante

I negoziati sono davvero importanti. E non solo perchè andranno a definire i nuovi rapporti tra Londra ed Europa, ma perchè la Gran Bretagna è la prima ad uscire dall’Ue. Questo significa che tutto quello che verrà deciso ora, potrebbe essere utilizzato in altra sede, nel caso si verificasse un’altra uscita.

Dunque, questa volta si decidono le regole del gioco che un giorno potrebbero valere per un altro Paese.

Una trattativa serrata

Diciamocelo, saranno tre le questioni più importanti da trattare: la salvaguardia dei diritti dei cittadini europei che vivono in Gran Bretagna, gli impegni finanziari di Londra con la Ue e i confini tra Eire e Irlanda del Nord.

Ma non si tratterà, come si prevedeva all’inizio, di una hard Brexit. Difficile che Theresa May, dopo il voto dell’8 giugno e una Gran Bretagna che non le ha dato il pieno appoggio, continui sulla strada dell’uscita dal mercato unico e del controllo sull’immigrazione. 

“Ora, dopo questa elezione, bisognerà prendere in considerazione anche il punto di vista di coloro che desiderano restare nella Ue e optare per una Bexit soft: una Brexit dura non è stata approvata dall’elettorato”, aveva detto John Major in un’intervista alla radio della BBC. “Dobbiamo riconoscere che l’elezione ha cambiato, se non tutto, moltissimo, e il governo deve rispondere a tutto questo.”

Le differenze tra hard e soft Brexit

BrexitSe non sarà hard Brexit, sarà soft Brexit. Ma cosa significa tutto questo? Difficile stabilirlo con certezza, dal momento che non esiste una definizione rigorosa dei termini.

La hard Brexit progettata in passato da Theresa May poteva comportare che Londra abbandonasse l’Unione Europea, tutti i trattati e le istituzioni europee di cui fa parte, nonché il ‘mercato unico’ e interrompa la libera circolazione delle persone.

Una Brexit soft, invece, potrebbe essere simile alle scelte della Norvegia, che è un membro del mercato unico e deve accettare la libera circolazione delle persone, pur restando fuori dall’Ue a 28. Quello che è certo è che ad oggi pochi vogliono mettere in discussione l’unione doganale, tantomeno i nordirlandesi del Dup, mentre cresce il numero dei deputati che affermano che rinunciare al mercato unico europeo sarebbe uno sbaglio. Questo cambia i vecchi piani di Theresa May, che dovrà sicuramente tener conto di tutto questo nella definizione dei futuri accordi commerciali.

Brexit: cosa chiede l’Ue?

brexitTre gli argomenti principali che dovranno essere discussi con Londra. Il primo è quello delle garanzie reciproche per i cittadini europei che vivono nel Regno Unito e per i britannici residenti negli altri paesi Ue. Il secondo sarà quello degli aspetti finanziari e poi ci sarà da risolvere la questione Irlanda.

Sui diritti dei cittadini europei residenti nel Regno Unito, l’Europa chiede l’acquisizione della residenza permanente dopo un periodo continuativo di cinque anni di residenza legale e che i cittadini possano essere in grado di esercitare i loro diritti attraverso procedure amministrative semplici. 

In tema finanziario, l’accordo dovrebbe includere non solo gli impegni assunti nel bilancio pluriennale dell’Ue, ma anche nell’ambito della Banca Europea degli Investimenti, del Fondo Europeo di Sviluppo e della Banca Centrale Europea. I negozionati dovranno assicurare che sia l’Unione sia il Regno Unito rispettino gli obblighi. In pratica, il Regno Unito dovrebbe continuare a contribuire al bilancio comunitario come se fosse uno stato membro anche dopo la sua uscita formale nel 2019, forse fino al 2021.

Le Banche che intendono lasciare Londra

Per molte banche d’investimento, Londra è la prima più grande sede o, al massimo, la seconda. Ma, con l’uscita dall’Ue, gli istituti potranno vedere diminuire operazioni e benefici ed esser dunque costretti a scappare.

Bloomberg sosteneva che tante sarebbero potute a scappare a New York: è la più grande città degli Stati Uniti, conosce i mercati in profondità ed è l’unica che può rivaleggiare a livello di competenze e norme vantate da Londra. Ma il vincitore della Brexit potrebbe essere Francoforte, son tante le Banche che potrebbero scegliere la Germania come nuova sede principale.

Goldman Sachs, banca d’affari di Wall Street, tra le altre, sarebbe pronta a volare a Francoforte, trasferendo sul continente mille dipendenti. Anche Ubs, istituto svizzero, starebbe pensando a nuove sedi in Europa: come ha spiegato Sergio Ermotti, la società starebbe valutando il trasferimento di 1500 dei suoi 5mila dipendenti ora in Gran Bretagna. Destinazione? O Madrid o Francoforte.

BrexitA Francoforte potrebbe anche arrivare la Standard Chartered, che sarebbe indecisa con Dublino: quel che è certo è che l’istituto intende spostare degli uffici nei Paesi dell’Ue. La britannica Lloyds Banking Group scommetterà sulla Germania (e su Francoforte).

A Parigi potrebbe volare la Hsbc Holdings. In questo caso la scelta sarebbe ben mirata: 10 anni fa, infatti, il gruppo britannico ha acquisito una banca commerciale francese.

E mentre Barclays, altra banca britannica, sceglie l’Irlanda (Dublino), come base Europea, Citigroup potrebbe, invece, optare per l’Italia. E per l’Irlanda, per la Spagna, per l’Olanda, per la Germania. La società starebbe valutando l’apertura di nuovi uffici in tutta Europa.

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