“Abbiamo prodotto in serie auto che sono poi state vendute senza seguire il corretto processo di certificazione”. Lo scandalo che travolge l’industria automobilistica nipponica, tra le principali al mondo, già indebolita dall’ostinazione con la quale i principali marchi giapponesi rifiutano di passare all’elettrico e che potrebbe presto portare al sorpasso dell’agguerrita rivale cinese, sta tutta qui, in questa breve e ferale ammissione che il presidente di Toyota, Akio Toyoda (nella foto), pronipote dell’industriale giapponese Sakichi Toyoda e nipote del fondatore della scuderia, Kiichirō Toyoda, ha fatto in conferenza stampa, profondendosi negli inchini di scuse tipici di quella cultura.
COSA HA DETTO AKIO TOYODA
“Questa cattiva condotta ha scosso le fondamenta del sistema di certificazione e questo è qualcosa che i costruttori non avrebbero dovuto fare in nessun caso”, ha detto Toyoda nel tentativo di recuperare la fiducia di azionisti e clienti. Ma pesano tutte quelle irregolarità che pare abbiano interessato ben sette modelli, tre dei quali peraltro ancora in produzione: Corolla Fielder, Corolla Axio e Yaris Cross.
LE SCUSE DI TOYOTA…
“Chiediamo scusa ai nostri clienti e a tutti gli appassionati di automobili”, ha proseguito Toyoda, Ceo dell’azienda di famiglia per 14 anni fino a gennaio 2023 e oggi presidente, noto soprattutto per il suo linguaggio asciutto e diretto, per nulla formale come pure esigerebbe la tradizione nipponica, per la passione per i motori e per le telecamere e, negli ultimi anni, soprattutto per le innumerevoli sparate contro l’elettrico che hanno aizzato contro il marchio la rabbia degli ambientalisti.
Questo nonostante la Casa nipponica sia stata tra le prime, fin dagli anni Novanta, a condurre sperimentazioni sull’elettrico con l’ibrida Prius che, nonostante l’aspetto ordinario, finì presto nel garage di migliaia di Vip di tutto il mondo (attori, scrittori, cantanti…) attenti alla causa ambientale.
“Ci scusiamo sinceramente”, ha detto e ripetuto Toyoda, con un profondo inchino un po’ teatrale, senza però riuscire a convincere Yoshimasa Hayashi, portavoce del governo giapponese, che ha definito il comportamento dei produttori finiti sotto inchiesta “deplorevole”. L’impressione è che l’esecutivo non si accontenterà delle scuse. E forse nemmeno delle rassicurazioni, facendo magari pressioni affinché il management dei marchi interessati faccia seppuku, dimettendosi.
…E LA RABBIA DEL GOVERNO GIAPPONESE
Il ministero dei Trasporti giapponese del resto è furibondo e ha subito ordinato a Toyota di sospendere le spedizioni dei modelli interessati. Lo scandalo, che arriva nel delicato momento in cui nel grande Oriente del mondo si sta affacciando un nuovo player mondiale (la Cina) dell’automobile, si è allargato a macchia d’olio lambendo anche Mazda, e Yamaha, rispettivamente per due modelli di auto e un modello di motocicletta. Solo tra Toyota e Mazda al momento sono ben cinque i modelli ritirati dalle concessionarie giapponesi e che non potranno essere venduti finché non si metteranno in regola a livello burocratico.
In tutto, le vetture Toyota viziate da irregolarità nelle certificazioni dovrebbero essere poco meno di due milioni (al momento le prime stime parlano di circa 1,7 milioni), mentre per Mazda e le moto Yamaha si parla, rispettivamente, di circa 150.000 e 7.000 unità. Ma il calcolo potrebbe presto aggravarsi. Secondo i primi dettagli emersi dall’inchiesta voluta dal ministero dei Trasporti giapponese, anomalie simili sono state riscontrate anche nei processi di certificazione di auto Honda Motor Co. e Suzuki Motor Corp.
Per il Giappone questo è, anzitutto, l’ennesimo scandalo esploso in seno al proprio marchio principale che, nel giro di pochi mesi – anche per colpa delle cattive condotte portate avanti dalle sussidiarie – è stato interessato prima dallo scandalo dieselgate di Hino e poi dalle accuse di aver falsificato i crash test che hanno travolto Daihatsu, finendo però per portare a galla un sistema che riguardava quasi tutte le Case e l’intera filiera, o poco meno.

TOYOTA RASSICURA GLI USA
Il Gruppo, che da sempre primeggia tra i marchi più amati dagli statunitensi soprattutto grazie ai 4×4, diventati in poco tempo sinonimo di affidabilità e indistruttibilità (a tal punto che restano nella storia delle recensioni di auto i particolari crash test che i presentatori della trasmissione inglese “Top Gear”, Jeremy Clarkson, Richard Hammond e James May vollero condurre su un pick-up nipponico, abbandonandolo in mare, dandogli fuoco e infine facendogli crollare addosso un palazzo, certificando che continuasse a ripartire), sta provando ora a mitigare i danni.
La casa automobilistica ha scritto un’email a Car and Driver rassicurando l’utenza statunitense del fatto che i veicoli destinati al mercato nordamericano sono testati con “processi e standard diversi”. Ma la reale portata dello scandalo resta ignota e rischia di valicare i confini dell’arcipelago giapponese. Il danno all’immagine, del resto, ha già portata globale.