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Auto

Tutte le incognite per Volkswagen

Il nuovo Ceo allontana i dubbi: Volkswagen continuerà la sua corsa verso l'elettrico nonostante l'arrivo di Blume ai vertici. Dieci nuovi modelli EV entro il 2026 e una gamma europea a zero emissioni dal 2033. Ma sono tanti i problemi nell'immediato per il Colosso di Wolfsburg: dall'asse Berlino-Parigi per misure protezionistiche che stringano i rapporti con Cina e USA al problema della mancanza di gas in inverno che potrebbe rallentare ancora la produzione

La strada che si dipana di fronte al parabrezza di Volkswagen è accidentata, ma la Casa di Wolfsburg non sembra intenzionata ad abbandonarla: proseguirà accelerando verso l’elettrico. Parola di Thomas Schäfer, nuovo Ceo del marchio tedesco dopo la defenestrazione di Herbert Diess e l’arrivo di Oliver Blume al vertice del gruppo. Il neo Ad a soli 100 giorni dal suo insediamento deve aiutare gli azionisti a digerire risultati finanziari sottotono, con un utile operativo che si è fermato sui 4,3 miliardi di euro: una galoppata considerato che partiva da 2,6 (+52,6%), ma comunque inferiore rispetto alle attese che lo stimavano sui 4,6 miliardi. Del resto, Wolfsburg non è riuscita a rimettere in moto la produzione: nell’ultimo trimestre sono stati consegnati 2,1 milioni di veicoli, +10,6% sul 2021, ma nei primi nove mesi i milioni sono soltanto 6, che si traduce in un poco lusinghiero -13%.

Per questo, le stime sulle consegne, precedentemente date in crescita del 5-10% , adesso sono viste in linea con il 2021, che era ancora un anno “pandemico”. Anche perché, come vedremo più avanti, in caso di austerity e di inverno rigido, la Germania potrebbe bloccare la produzione industriale. In Cina, mercato in sofferenza, le consegne sono cresciute del 26%.  I ricavi sono comunque saliti a 70,7 miliardi di euro, in crescita del 24,2% rispetto al 2021. L’utile netto è sceso del 26,5% a 2,13 miliardi. Sul versante delle auto a batteria, la quota nel trimestre è stata del 6,8%; +25% a 366mila le consegne nei 9 mesi.

VOLKSWAGEN INTENDE FAR DIMENTICARE IL DIESELGATE

“Il marchio Volkswagen ha sofferto per le conseguenze della crisi diesel, ma il tempo per curare le nostre ferite è arrivato al termine” ha detto Schäfer. “Ora guardiamo avanti. Ci concentreremo sul cliente, e per questo abbiamo creato un comitato che si dedica a intercettare e soddisfare le sue esigenze. Ridurremo l’ampiezza della gamma, concentrandoci sui modelli fondamentali: l’anno prossimo arriveranno le nuove Passat e Tiguan; la ID.3 avrà il suo primo restyling, che porterà a migliorare la qualità costruttiva e la stabilità del software. Entro il 2026 lanceremo dieci nuove Bev, dalla entry level da 25 mila euro fino alla ID. Aero. Stiamo lavorando a una versione Suv della ID.3. Entro il 2030, il 55-60% delle Volkswagen sarà full electric e per il 2033 l’intera produzione sarà Bev, perlomeno in Europa” .

Schäfer dunque prova a fugare i dubbi: l’arrivo ai vertici di Blume, noto per non essere un gran fan della mobilità elettrica e per essersi più volte dichiarato a favore dei carburanti alternativi, non rallenterà la corsa di VW verso l’auto EV: “Luca De Meo ha detto che sarà impossibile ancora per lungo tempo proporre al pubblico un’auto elettrica a 20 mila euro? Io penso invece che ci riusciremo abbastanza presto. Come? Sfruttando le opportunità che la magnitudo del gruppo ci offre. Per esempio, è ora di uscire dalla logica secondo cui ogni marchio debba avere una vita a sé: i modelli di marchi diversi basati sulla stessa piattaforma possono essere tranquillamente prodotti nella stessa fabbrica, se vi è un risparmio. La differenziazione fra i brand rimarrà sempre, ma non credo che il cliente sia disposto a pagare di più se una macchina viene da Zwickau piuttosto che da Martorell. Lo stesso vale per la duplicazione di funzioni che abbiamo in giro per il mondo. Quest’anno abbiamo risparmiato 220 milioni di euro”.

TROPPI INTERESSI IN CINA?

Ma sono comunque numerose le incognite sulla strada di VW. A iniziare dalla Cina, dove Volkswagen realizza circa il 40% delle vendite e la metà dei profitti. E difatti rispetto ai francesi, Schäfer ha tutt’altra opinione: “Non sono d’accordo con la proposta di Carlos Tavares di alzare barriere nei confronti dei cinesi. Le barriere rendono difficile tutto; meglio lasciare che sia il mercato a decidere. Del resto, l’Europa ha già avuto a che fare con i giapponesi e i coreani: la competizione aiuta a migliorare il prodotto. Di certo i cinesi sono rivali pericolosi, avendo una competenza specifica sull’elettrico. Ma non ci spaventano”.

PARIGI E BERLINO PENSANO AL BUY EUROPEAN ACT

Il problema, però, è che Berlino potrebbe non essere d’accordo.  “Ci sono Cina e Stati Uniti che proteggono la loro industria, mentre l’Europa rimane aperta a tutti. Dobbiamo cambiare”, ha spiegato Emmanuel Macron in televisione. L’argomento sarebbe stato oggetto del recente incontro con il cancelliere federale tedesco Olaf Scholz ed entrambi i leader si sarebbero trovati d’accordo, a detta dell’inquilino dell’Eliseo, sull’ipotesi di assicurare che eventuali incentivi all’acquisto siano riservati solo ad auto prodotte in Europa, predisponendo una misura che ricalchi quella di Biden.

Per l’occasione, Macron avrebbe rispolverato un vecchio cavallo di battaglia: il Buy European Act che propose nel 2017 ma che trovò la ferma opposizione sia di Bruxelles, che non voleva violare gli accordi WTO in essere, sia di Angela Merkel, allora alla guida della Germania, decisa a salvaguardare l’automotive tedesco che, è ben noto, ha fortissimi rapporti con la Cina. Con una pandemia di mezzo ma, soprattutto, con una rincorsa all’elettrico che pare ridisegnare le filiere, svantaggiando quelle del Vecchio continente, la posizione di Berlino è mutata enormemente, mentre Bruxelles ha già ventilato nei giorni scorsi la possibilità di ricorrere a misure altrettanto drastiche come quelle USA.

IL “GELO” CON LA RUSSIA

Quanto all’immediato, c’è il tema di riorganizzare la produzione nel caso in cui l’inverno tedesco riservasse sorprese meteo e si rivelasse inaspettatamente rigido: con la Russia che non fornisce più gas, l’industria dell’automotive sarebbero le prime a doversi fermare. “Tra le ipotesi di medio termine, ci stiamo concentrando su una maggiore localizzazione delle forniture, su un trasferimento della capacità produttiva e su soluzioni prettamente tecniche”, aveva spiegato qualche settimana fa il responsabile acquisti, Geng Wu, in un nota ripresa dalla Bloomberg.

Wu ha ammesso che le soluzioni emergenziali allo studio ai piani alti sono “simili a quelle diventate già pratica comune nel contesto delle sfide legate alla carenza di semiconduttori e ad altre recenti interruzioni della catena di approvvigionamento”. C’è però una differenza: mentre le Case automobilistiche hanno atteso parecchio prima di rivoluzionare catene produttive e filiere per colpa dell’assenza dei semiconduttori, qui i bagagli sembrerebbero già pronti e il rischio è quello di essere comunque in ritardo. Quasi certamente, dimagriranno i lavori in patria, dove VW ha circa 30 impianti (28, per la precisione), da Zwickau a Dresda, passando per Osnabruck, Emden, Hanover e ovviamente Wolfsburg. Probabilmente lo stesso discorso si farà per gli stabilimenti di Ingolstadt e Neckarsulm che producono Audi, mentre bisognerà capire se pure Porsche sarà interessata.

E poi ci sono quelli in Europa dell’Est, In Ungheria, a Gyor, in Repubblica Ceca a Kvasiny e Mlada Boleslav, dove viene realizzata la Skoda e il maxi stabilimento di Bratislava, in Slovacchia. Tutti questi impianti, trovandosi in Paesi legati alle forniture russe, rischiano di essere accomunati dal medesimo destino. Il responsabile delle relazioni esterne Thomas Steg ha già avanzato le istanze di Volkswagen: “I politici devono frenare l’attuale boom incontrollato dei prezzi del gas e dell’elettricità. Altrimenti, le piccole e medie imprese, in particolare quelle ad alta intensità energetica, avranno grossi problemi e dovranno ridurre o fermare la produzione”.

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