Le azioni di Toyota Motor, il più grande produttore di automobili al mondo, hanno perso oggi il 2,5 per cento alla borsa di Tokyo. Il calo è il risultato dell’annuncio – fatto venerdì scorso – sul taglio dei livelli produttivi nell’anno fiscale 2021, che terminerà il prossimo marzo: l’azienda realizzerà cioè 300mila vetture in meno di quanto stimato, da 9,3 milioni di unità a 9 milioni.
COSA È SUCCESSO A TOYOTA
Toyota non ha modificato la sua previsione sull’utile operativo, che resta di 22,8 miliardi di dollari. La riduzione dell’output, ha spiegato, è dovuta all’impatto della pandemia di coronavirus sulle proprie filiere nel Sud-est asiatico, e quindi delle difficoltà di approvvigionamento di microchip (dei quali c’è una grave carenza globale) e di altri componenti essenziali. Gli impianti dei principali fornitori di Toyota si trovano in Malaysia e in Vietnam, e non possono garantire livelli di produzione normali a causa dei contagi.
IL COMMENTO DI YOSHIDA (BLOOMBERG)
Tatsuo Yoshida, analista per Bloomberg Intelligence, ha definito l’annuncio di Toyota “uno shock” sia per l’ampiezza dei tagli produttivi, sia per la vicinanza alla prima comunicazione sui risultati della società. Ma anche perché, prosegue Yoshida, dimostra come l’andamento della pandemia sia difficilmente prevedibile e gestibile anche per quelle aziende – come appunto Toyota – molto attente alle forniture di materiali di base.
IL COMMENTO DI NAKANISHI (JEFFERIES)
Secondo Takaki Nakanishi, analista per la banca d’investimento Jefferies, l’annuncio di Toyota è un “campanello d’allarme” per altri produttori di veicoli.
Jefferies prevede che le aziende automobilistiche giapponesi – come Nissan, Honda o Suzuki – ridurranno i propri livelli di output di 1,3 milioni di unità complessive nel trimestre luglio-settembre. Ad agosto la banca stimava il taglio in 760mila unità.
CONSEGUENZE ANCHE PER ALTRI PRODUTTORI?
I problemi di approvvigionamento riscontrati da Toyota potrebbero riguardare anche altre aziende giapponesi che hanno installato le proprie basi manifatturiere nel Sud-est asiatico, come Honda, Nissan e Mitsubishi.
Negli ultimi dieci anni i produttori giapponesi di veicoli hanno infatti investito molto nel Sud-est asiatico, facendone un polo manifatturiero-logistico: a spingerli in questa regione era la necessità di distaccarsi dalla Cina, per via delle tensioni commerciali e politiche; ad attirarli erano i prezzi bassi della forza lavoro.
COSA FARÀ SUZUKI
Suzuki, in effetti, aveva già detto che avrebbe tagliato del 20 per cento la produzione di auto e moto a settembre per via delle difficoltà di approvvigionamento di componenti dal Sud-est asiatico. È da aprile, in realtà, che sta riducendo i livelli di output.
La società ha fatto sapere di non essere in grado di prevedere quando avrà fine la carenza degli approvvigionamenti e che l’impatto della pandemia non terminerà a breve.