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Tesla

Ecco come la Gigafactory di Tesla in Germania spacca gli ecologisti

Che cosa si dice in Germania sulla Gigafactory in costruzione di Tesla. L'approfondimento di Pierluigi Mennitti da Berlino

La Gigafactory si farà, ma per il momento Tesla ha dovuto fermare le ruspe. Nella foresta di Grünheide, alle porte di Berlino, oggi tutto tace. I grandi macchinari che da un paio di giorni avevano iniziato a disboscare una parte dell’area di 300 ettari su cui sorgerà la fabbrica europea di Elon Musk fanno ora l’effetto di pachidermi sfiatati, spiaggiati di fronte a un mare di conifere.

L’alta Corte del tribunale amministrativo dello stato di Berlino-Brandeburgo ha imposto lo stop a Tesla per poter valutare meglio le riserve del gruppo ecologista Grünen Liga Brandenburg (Lega verde), ribaltando così la decisione presa solo qualche giorno prima da una corte locale che aveva autorizzato il colosso Usa dell’auto elettrica ad avviare il disboscamento dei primi 90 ettari dell’area. Fino allo stop, intervenuto nella serata di sabato 15, le ruspe avevano già liberato 30 ettari.

Per chi credesse che le catene dei ricorsi siano solo in Italia un ostacolo alle grandi opere, pubbliche o private che siano, avrà modo di ricredersi con questa vicenda. Gli ambientalisti avanzano le loro ragioni. La licenza ufficiale di costruzione a Tesla, infatti, non è stata ancora rilasciata ed è previsto che lo sia agli inizi di marzo. Ma le pressioni perché a questo progetto venga concessa una corsia preferenziale sono talmente forti che il Landesumweltamt del Brandeburgo aveva appunto autorizzato l’azienda americana ad avviare il disboscamento di una prima porzione di terreno, anche se solo fino a fine mese. La corsa contro il tempo serviva a Tesla ad anticipare la data del 1° marzo, quando inizia il periodo della riproduzione degli uccelli e il taglio degli alberi è vietato dalla legge federale per la tutela dell’ambiente. “Non vogliamo evitare che Tesla costruisca la sua fabbrica”, ha detto alla stampa il leader della Grünen Liga, “ma l’azienda non deve avere trattamenti privilegiati rispetto agli gli altri”.

Lo stop dei giudici ha comunque galvanizzato l’intero universo ambientalista, tanto che due esponenti di un’ala più radicale hanno colto l’occasione per penetrare lunedì scorso nell’area e “occupare” alcuni alberi, arrampicandosi sopra, costruendo una postazione temporanea e appiccicando battaglieri striscioni: “Togliere potere ai gruppi industriali, disprezzare la logica del profitto”. L’azione, pubblicizzata con foto su Twitter, ha tenuto banco l’intera giornata, fino a quando i contestatori non hanno abbandonato gli alberi, ottenendo immediatamente il supporto degli ambientalisti che per mesi avevano sostenuto una protesta simile, ma molto più massiccia, nella foresta di Hambach, nella Renania Settentrionale, riuscendo a scongiurare un progetto minerario di Rwe.

Già il semplice fermo del disboscamento rischia di far slittare i piani di Musk, che prevede di far entrare in funziona la gigafactory tedesca a metà del prossimo anno, iniziando a sfornare mezzo milione di automobili elettriche all’anno grazie all’impiego di 10 mila operai. L’episodio dell’occupazione degli alberi solleva però un ulteriore inquietudine e quello che poteva apparire solo un ennesimo ma superabile intoppo giudiziario si è trasformato in un vero e proprio caso politico. Il timore ultimo è che l’intero progetto possa saltare, che Musk prenda cappello e vada a investire i miliardi di dollari da un’altra parte.

È un’eventualità molto remota, anche perché tutti i partiti politici sono favorevoli a questa fabbrica, verdi compresi che vedono nell’elettrico il tassello fondamentale per l’obiettivo di una mobilità sostenibile.
Tanto più che l’area di Grünheide non è una foresta originale ma una zona di rimboschimento, cioè un’area un tempo disboscata e poi ricreata a foresta artificialmente. Il tema dei rimboschimenti è molto controverso tra gli stessi esperti (si dibatte se la foresta, ricrescendo, avrà la stessa biodiversità della foresta originale). E proprio i Verdi ieri si sono scagliati contro gli ambientalisti anti-Tesla: “Fare di un’area rimboscata un terreno di battaglia è assurdo, non si può dire di no a tutto”, ha detto la leader berlinese dei Grünen Ramona Pop.

Ma il mondo economico ha lanciato l’allarme. “La fabbrica di Tesla è un progetto far nel vero senso della parola”, ha detto all’Handelsblatt il presidente dell’associazione delle piccole e medie imprese Mario Ohoven, “un suo fallimento a causa dell’iperregolamentazione e della burocrazia sarebbe un segnale catastrofico lanciato agli investitori stranieri”. E sul berlinese Tagesspiegel, gli ha fatto eco il presidente della Bundesverbands der Deutschen Industrie (Bdi), la Confindustria tedesca, per il quale “in Germania sarebbe opportuno varare procedimenti di approvazione delle licenze più veloci”.

Sono intervenuti anche gli istituti di ricerca economica. Come l’Institut der deutschen Wirtschaft di Colonia (Iw), che per bocca del suo direttore Michael Hüter ha evidenziato come sia “un problema generale se gli investimenti rischiano di fallire a causa di lunghe procedure di pianificazione, ricorsi e proteste”.

Ancora più esplicito è stato Marcel Fratzscher, direttore del Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung (Diw) di Berlino: “Questa vicenda è sintomatica di quanto sia difficile portare avanti grandi progetti in Germania”, ha detto intervistato dalla tv all news del quotidiano Die Welt, “e a lamentarsi non è solo Tesla, ma anche tanti imprenditori tedeschi che lamentano la mancanza di tempi certi nella programmazione dei loro progetti”. Un’insicurezza velenosa, ha aggiunto Fratzscher, che da almeno dieci anni sta spingendo gli stessi imprenditori tedeschi a investire all’estero, non tanto perché lì si trova la domanda e il mercato, quanto perché le condizioni in Germania peggiorano sempre di più. “Il nostro paese diventa sempre meno attraente per gli investimenti e così sfumano anche tanti posti di lavoro”. Per il direttore del Diw, negli ultimi 10-15 anni si è persa la capacità di bilanciamento fra gli interessi alla sicurezza di programmazione delle imprese e il diritto democratico di opposizione da parte dei cittadini: “Se gli imprenditori non trovano qui da noi le condizioni per operare emigrano altrove, è un fenomeno che osserviamo ormai da tempo”, ha detto. Un fenomeno, peraltro, non solo tedesco ma generalmente occidentale e che riguarda progetti industriali come infrastrutturali (clamorosa all’inizio dello scorso decennio la protesta borghese a Stoccarda contro il mega investimento per una stazione ferroviaria moderna). “È una questione legata anche al benessere diffuso, per cui i cittadini non sono più disposti ad ottenere qualcosa a ogni costo”, ha concluso Fratzscher, “ma non bisogna dimenticare che questo benessere lo si è ottenuto perché i nostri paesi sono apparsi attraenti per gli investitori, nazionali ed esteri, pubblici e privati”.

Se Musk dovesse ritirare il proprio investimento di fronte all’incertezza dei tempi, per la Germania (e in particolare per le sue regioni orientali) sarebbe un grave colpo d’immagine. Il mondo politico ne è consapevole e molti sperano che le cose si rimetteranno a posto in breve tempo. Il ministro dell’Economia del Brandeburgo (il Land dove si trova l’area scelta da Tesla e che ha concluso in tempi record l’accordo con l’azienda Usa) è sicuro che “i giudici riconosceranno il buon lavoro preparatorio” fatto dal governo regionale assieme ai responsabili di Tesla e rilasceranno in breve tempo l’autorizzazione. Spera anche che all’azienda venga concessa la possibilità di tagliare gli alberi anche nel periodo protetto. Anche il governo federale è intervenuto attraverso il ministro dell’economia Peter Altmeier: “La costruzione della fabbrica di Tesla è di fondamentale importanza nella battaglia per la tutela del clima ed è l’investimento più importante nelle regioni orientali da tanto tempo”. Un progetto miliardario che ora dipende dalla decisione dei giudici.

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