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Lucid

Anche i sauditi piangono. Dopo Faraday, Nikola, Arrival e Rivian pure Lucid perde energia?

Nonostante il Public Investment Fund saudita primo azionista (nel 2018 investì 1 miliardo di dollari per acquisirne il 61% delle azioni), anche Lucid inaugura una stagione di tagli.

La transizione ecologica sembrava rivoluzionare per sempre il mercato dell’automotive consentendo a tantissime startup, nate di fatto dal nulla o quasi (quasi tutte vantano investitori di grido e investimenti consistenti alle spalle) di irrompere nel mercato per competere ad armi pari coi marchi blasonati, più restii a cogliere le opportunità dell’elettrificazione. Ma la guerra in Ucraina, il mondo che torna a dividersi in blocchi, l’aumento delle materie prime, la crisi dei chip stanno mettendo a dura prova queste giovanissime e arrembanti startup, che devono vedersela pure con la baldanza delle omologhe cinesi, finanziate spesso da Pechino. Tant’è che Rivian, su cui avevano scommesso Ford e Amazon (userà i furgoni EV per rinnovare la propria flotta) ha annunciato il taglio del 6% circa dei 14 mila dipendenti, Nikola del 7%, Arrival intende persino dimezzarli mentre Faraday al momento ridurrà gli stipendi di un quarto. L’ultima ad annunciare l’avvio di una stagione di tagli è Lucid, che pure può vantare non solo sul know how del Ceo Peter Rawlinson, noto per essere stato ingegnere di punta in Tesla, ma soprattutto sui petroldollari dei sauditi.

LUCID PIACE AI SAUDITI

Sì, perché per costruire la fabbrica in Arabia Saudita, alle porte della capitale, Lucid ha potuto contare su finanziamenti e incentivi per oltre 3 miliardi di euro (3,4 miliardi di dollari). Intendiamoci, non li ha incamerati tutti: verranno di fatto spalmati su un orizzonte temporale di 15 anni e sono già vincolati alla produzione in un sito da 155.000 vetture l’anno.

L’avveniristica gigafactory sarà pronta solo nel 2026, e avrà una capacità di 155.000 vetture all’anno. L’ “Advanced Manufactoring Plant #2 (AMP-P)” sorgerà nella King Abdullah Economic City. Il governo dell’Arabia Saudita si è già impegnato ad acquistare fino a 100.000 veicoli Lucid in 10 anni per elettrificare la propria flotta pubblica, che naturalmente si comporrà di berline top di gamma.

Col Public Investment Fund (PIF) saudita primo azionista (nel 2018 investì 1 miliardo di dollari per acquisirne il 61% delle azioni), Lucid più che all’Europa, all’Asia e agli USA sembrava puntare tutto sui paperoni mediorientali, tanto che pochi mesi fa ha aperto nella capitale, precisamente in un centro commerciale del distretto Al Nakheel, il suo primo concessionario.

I TAGLI IN ARRIVO

Ma, come si diceva, la tempesta ha raggiunto anche l’oasi nel deserto in cui aveva trovato riparo Lucid, costretta a licenziare circa 1.300 lavoratori, pari al 18% dell’intero organico, assestamento che rientra all’interno di un programma di ristutturazione che dovrebbe concludersi entro la fine del secondo trimestre.

Del resto la startup californiana di Newark ha chiuso il 2022 con un conto in rosso di 2,6 miliardi di dollari e ricavi per poco più di 600 milioni. Che una startup abbia più passivo che attivo non è eccezionale, ma quelle perdite sono, evidentemente, andate troppo oltre.

Tanto più che, esattamente come successo a tante realtà innovative fiorite attorno alla scommessa dell’auto elettrica, pure Lucid non riesce a soddisfare gli ordini: a fronte di 28 mila vetture EV di lusso già prenotate, l’azienda per il 2023 stima di riuscire a consegnarne tra le 10 mila e le 14 mila veicoli. Ben poco, ma comunque un netto miglioramento rispetto all’anno precedente quando si è fermata a 4.300; in più, l’azienda ha da poco annunciato un richiamo per 600 veicoli. I soldi dei sauditi, si sa, sono illimitati, ma la pazienza?

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