A mettere in fila le notizie in arrivo dalla stampa di Detroit, sarebbero almeno nove le cause intentate da Stellantis contro l’Uaw, il potente sindacato del settore statunitense mai così battagliero da quando alla guida c’è di Shawn Fain (il solo a essere riuscito a paralizzare simultaneamente ben tre Case automobilistiche).
Stellantis CEO Carlos Tavares is out of control. The company sent robocalls to tens of thousands of UAW members trying to tell us how to vote on a strike authorization. We have two words for them: HELL NO. If it takes a fight, we’ll fight. If it takes a strike, we’ll strike.… pic.twitter.com/D0JGg2G9Uc
— UAW (@UAW) October 3, 2024
LE MOLTEPLICI DENUNCE DI STELLANTIS CONTRO L’UAW
L’ultima denuncia è stata depositata a seguito del referendum sindacale che si è tenuto presso il centro ricambi di Los Angeles, conclusosi con il voto favorevole dei lavoratori alla proclamazione di una vertenza sindacale.
Stellantis accusa l’Uaw di agire “in malafede”, di non rappresentare ai propri iscritti la realtà, dando voce a “false lamentele” così da falsare il convincimento dei lavoratori chiamati ad autorizzare un nuovo sciopero.
In particolare per la dirigenza lo Uaw fingerebbe di ignorare una clausola, nota come Lettera 311, contenuta nel contratto collettivo del 2023 tra Stellantis e il sindacato che consente all’azienda di adeguare i piani di produzione in base alla performance degli impianti, alle condizioni di mercato e alla domanda dei consumatori.
LE CONTRODENUNCE DELL’UAW
Anche l’Uaw si muove per carte bollate depositando al National Labor Relations Board querela per presunte “pratiche lavorative sleali”: tra queste la decisione di Stellantis di non condividere con i rappresentanti dei lavoratori “informazioni pertinenti” sulla messa a terra degli accordi strappati dalle tute blu a seguito dello sciopero dello scorso anno.
IL NUOVO CASUS BELLI
Mentre non sembra poi così improbabile un accordo su parte delle nuove lagnanze sindacali, ovvero sull’accusa mossa a Stellantis di aver fatto coriandoli delle promesse fatte all’Uaw lo scorso autunno per far tornare gli operai nelle fabbriche (promesse che il Gruppo sostiene di aver solo rinviato, stante l’aggravarsi delle condizioni economiche in particolar modo nel mercato statunitense), il nuovo casus belli su cui potrebbe detonare il prossimo sciopero riguarda una tutela chiesta dai metalmeccanici che il management fa risalire alla Jobs Bank.
IL BOTTA E RISPOSTA TRA STELLANTIS E L’UAW
La Jobs Bank era una sorta di cassa integrazione privata finanziata anche da General Motors e Ford che si prendeva carico dei lavoratori licenziati. In questo modo continuavano a percepire lo stipendio, gravando sulle casse dei costruttori statunitensi, senza però lavorare.
Quando Fiat acquisì la Casa di Auburn Hills quest’ultima aveva oltre duemila dipendenti in Jobs Bank i cui conti erano ormai fuori controllo. Per questo è malvista sia dalla politica Usa, sia da molti tra gli stessi lavoratori, che accusano quello strumento di aver fatto finire gambe all’aria il costruttore determinando l’acquisizione di un Gruppo europeo.
VIETATO DIRE JOBS BANK?
Ed è per questo, accusano dall’Uaw, che la dirigenza di Stellantis ora ventila che i sindacati rivorrebbero proprio la Jobs Bank, mentre loro sostengono di chiedere altre tutele, non così gravose per i conti del Gruppo e non così eccessive, dato che quella misura di fatto vietava di licenziare. Insomma, il solo riferimento alla Jobs Bank per i rappresentanti dei lavoratori sarebbe di per sé prova della malafede aziendale finalizzata a rendere impopolari le loro istanze.
L’UAW CAVALCA LE PRESIDENZIALI USA
D’altra parte è chiaro l’intento dell’Uaw di sfruttare a proprio vantaggio il rush finale delle presidenziali americane per riuscire a ottenere da ambo i candidati alla Casa Bianca sostegno politico nell’attuale contrapposizione con Stellantis.
Istanze che lo scorso anno, al tempo degli scioperi che paralizzarono anche Ford e General Motors, erano state convintamente appoggiate dall’uscente Joe Biden. Pertanto i rappresentanti si aspettano la medesima condotta da Kamala Harris. Ma Donald Trump potrà fare lo stesso, data la sua recente vicinanza con Elon Musk che, è noto, non ama troppo i sindacati?