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Stellantis inchioda con la produzione in Italia, ma accelera negli Usa (per fare felice Trump)

Mentre Stellantis cestina le jv europee sull'idrogeno e le startup dello sharing, chiude momentaneamente sei stabilimenti nel Vecchio continente e rallenta ancora la produzione in Italia si appresta a varare un piano monstre da 10 miliardi a favore degli Usa. O di Trump?

Se la conduzione di Carlos Tavares aveva scontentato un po’ tutti, al di qua e al di là dell’Oceano, con l’amministrazione della Casa Bianca (all’epoca l’inquilino era Joe Biden) scesa in piazza al fianco del potente sindacato dell’Uaw per chiedere a Stellantis di mantenere fede ai patti siglati per far terminare gli scioperi del 2023 che avevano bloccato Detroit, quella di Antonio Filosa sembra andare nella direzione opposta. Almeno negli Usa, dove ora alla Casa Bianca adesso risiede un inquilino decisamente più bisbetico e difficile da ammansire. Perciò vengono ventilati piani di investimento dalla portata storica che certo stridono con le notizie relative alla produzione italiana, sempre più al palo. Ma andiamo con ordine.

GLI INVESTIMENTI MONSTRE DI STELLANTIS NEGLI USA

Secondo Bloomberg il gruppo automobilistico starebbe preparando un piano di investimenti da 10 miliardi di dollari negli Stati Uniti. Che sono indubbiamente il mercato più importante per la società presieduta da John Elkann ma è pure quello divenuto via via più incerto e difficile da gestire, dato che i dazi stanno costringendo a ridisegnare la filiera nordamericana, spalmata anche lungo stabilimenti messicani e canadesi (dove l’azienda produce il 40% delle auto vendute negli Usa), ormai al di là degli alti muraglioni commerciali eretti da Donald Trump.

PIOGGIA DI MILIARDI SU MICHIGAN E ILLINOIS

Se tali indiscrezioni fossero confermate, Stellantis riverserebbe negli Usa altri 5 miliardi di dollari che si andrebbero ad aggiungere ai 5 miliardi già annunciati in precedenza per ammodernare i propri impianti produttivi nordamericani, riaprire i siti chiusi nell’ultimo periodo, dare vita a tornate di nuove assunzioni e alimentare il mercato con modelli inediti. Una pioggia di denaro che farà felice soprattutto i governatori di Illinois e Michigan, ma che ovviamente dovrebbe spianare, a livello di rapporti, la strada per la Casa Bianca.

GLI INCONTRI TRA TRUMP ED ELKANN

Almeno tre finora gli incontri tra John Elkann, presidente del Gruppo, e Donald Trump da quando quest’ultimo si è insediato a inizio anno. In occasione dei primi, per preparare il terreno al meglio, l’allora chief operating officer del Nord America Antonio Filosa, oggi Ceo, aveva inoltrato una lettera ai dipendenti d’Oltreoceano rassicurandoli sull’arrivo di nuovi modelli e nuovi investimenti.

Che qualcosa si stesse muovendo nel tentativo di riequilibrare quel piano statunitense pericolosamente inclinato dai licenziamenti e dalle chiusure disposti da Tavares era già apparso chiaro lo scorso 22 gennaio: “Sotto la guida del presidente Trump, Stellantis sta riportando 1.500 posti di lavoro in Illinois, riaprendo Belvidere e investendo a Detroit, Ohio e Indiana. La rinascita manifatturiera americana è arrivata: benvenuti nell’età dell’oro!”, aveva festeggiato in un post su X la Casa Bianca. L’ultimo incontro ufficiale tra Elkann e Trump era avvenuto a fine marzo, pochissimi giorni prima della conferenza stampa nella quale Trump dal giardino delle rose aveva cannoneggiato i mercati imbracciando l’arma dei dazi (il cosiddetto “Liberation Day”).

IN EUROPA STELLANTIS TIRA LA CINGHIA

E ora appunto arriva la notizia che Stellantis si starebbe preparando a investire 10 miliardi spalmati su più anni proprio a favore delle aziende statunitensi per ridare lustro a marchi come Jeep, Dodge e Chrysler che potrebbero diventare quelli da privilegiare all’interno dello sterminato portafogli del Gruppo italo-francese.

Notizie che stridono con quelle che rimbalzano invece nel Vecchio continente, dove Stellantis non solo ha abbandonato la joint venture per veicoli a idrogeno con Michelin e Forvia e, sempre secondo indiscrezioni di Bloomberg, starebbe valutando la cessione della startup dello sharing Free2move, ma soprattutto si prepara a un autunno assai rigido sul fronte della produzione, con interruzioni temporanee in sei impianti per far fronte a un mercato che non tira.

Mirafiori, Termoli e Pomigliano rischiano insomma di essere solo la punta dell’iceberg di una crisi che costringerà Stellantis a chiudere in via temporanea fabbriche in tutta Europa: una in Francia, due in Spagna, una in Germania e un’altra in Polonia.

TRACOLLO DELLA PRODUZIONE ITALIANA DI STELLANTIS

Riecheggiano particolarmente cupi numeri e dati redatti da Fim-Cisl con riferimento alla produzione di Stellantis in Italia nei primi nove mesi del 2025: da gennaio a settembre sono stati realizzati appena 265.490 veicoli, in calo del 31,5% rispetto allo stesso periodo del 2024, considerato l‘annus horribilis dell’industria automobilistica tricolore ma evidentemente destinato a essere sorpassato dagli attuali 12 mesi. Le autovetture segnano un crollo del 36,3% (151.430 unità), mentre i veicoli commerciali arretrano del 23,9% (114.060 unità).

UN LAVORATORE SU DUE IN CIG O SOLIDARIETÀ

Il sindacato sottolinea che, sempre tenendo in filigrana il difficilissimo 2024, quest’anno tutti gli stabilimenti italiani del gruppo registrano una forte contrazione dei volumi, con perdite comprese tra il -17% e il -65%. Attualmente, quasi la metà della forza lavoro del gruppo è interessata da ammortizzatori sociali.

LE PREVISIONI PER IL 2025

“Anche il 2025, come il 2024, chiuderà con una riduzione complessiva di circa un terzo dei volumi produttivi, un risultato ben peggiore di quanto previsto a inizio anno. Le previsioni per la chiusura dell’anno restano fortemente negative: poco più di 310.000 unità complessive, con le autovetture che scenderanno sotto le 200.000”, viene sottolineato da Fim-Cisl. Il prossimo 20 ottobre a Torino ci sarà un incontro con Antonio Filosa: in quella data i rappresentanti dei lavoratori confidano vengano delineate le strategie industriali per salvaguardare l’occupazione e il futuro degli stabilimenti italiani. Ma il timore è che il Gruppo ora guardi soprattutto agli Usa nel tentativo di mettersi al riparo dalle intemperanze di Trump.

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