Caro direttore,
è con vivo stupore che leggo le dichiarazioni dei vertici di Stellantis.
L’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, fresco fresco di un investimento da 1,5 miliardi di euro in un’azienda cinese di veicoli elettrici, si è lanciato contro la Commissione europea per l’indagine che dovrà stabilire se le auto elettriche provenienti dalla Cina costano così poco perché ricevono sussidi incompatibili con le regole comunitarie sugli aiuti di stato. La Commissione dice che in media le auto elettriche cinesi sono del 20 per cento più economiche di quelle prodotte in Europa: non proprio una differenza di qualche euro, insomma.
Eppure Tavares, direttamente da Hangzhou, dove ha firmato l’accordo d’investimento in Leapmotor, ha detto che l’indagine anti-sovvenzioni non è il modo migliore per affrontare le questioni globali. “Poiché dobbiamo affrontare questioni globali, dobbiamo adottare una mentalità globale. Non sosteniamo un mondo frammentato. Ci piace la concorrenza”.
Mi chiedo quali turbamenti intellettuali, psicopolitici ed esistenziali possano in questi minuti caratterizzare l’esistenza di John Elkann, che da Exor passando a Gedi – e dunque anche alla partecipazione nella società che edita l’Economist – ha connotato la sua intrapresa economico-finanziaria in contrapposizione con la Cina.
Fulgido e preclaro esempio di questa impostazione europeistica e atlantistica è il quotidiano Repubblica, ora diretto per volontà degli Elkann da Maurizio Molinari, che su questioni geopolitiche ha trasformato il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari in una sorta del Giornale di Montanelli degli anni Duemilaventi per le sue indefesse posizioni pro-Usa, pro-Nato e pro-Israele. E con una stella polare: la Cina come novello regno del male.
E pensare, caro direttore, che proprio per questo ammiravo la svolta occidentalista della Repubblica degli Elkann. Ma ora scopro che il gioiello automobilistico (o presunto tale) nato grazie a John Elkann, che ha di fatto inglobato la tradizione industriale della Fiat in una scatola francese, ora coccola indefessamente e difende a spada tratta Pechino.
Un grazioso (e vuoto) giro di parole, quello di Tavares, per dire: lasciateci fare soldi con la Cina. E chissenefrega se eventualmente la Cina distorce il mercato a suo favore impedendo la concorrenza a chi gioca secondo le regole. L’importante è vendere, no? Vendere macchine e tecnologie altrui, però, perché considerati i prezzi vantaggiosissimi dei veicoli cinesi e il dominio di Pechino sulla filiera della mobilità elettrica (di cui su Startmag scrivete spesso: bene), l’industria automobilistica europea non pare messa benissimo…
Ave, Tavares, morituri te salutant.
Francis Walsingham
Ps: domani su Repubblica mi gusterò un irato editoriale di Molinari contro queste dichiarazioni di Tavares filo-Cina