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Ecco come Volkswagen fa sbandare la Germania

Come e perché gli scioperi negli stabilimenti Volkswagen infiammano la Germania. Fatti, numeri e commenti.

I fuochi tardo autunnali della lotta sindacale tedesca raggiungono Volkswagen. Era solo questione di tempo, giusto quello di far scadere il patto di non belligeranza (la pace sindacale) siglata qualche tempo fa da azienda e organizzazione dei lavoratori, che è scaduto alla mezzanotte del 2 dicembre.

Così gli striscioni si sono visti quando le luci del giorno si erano già levate da un po’: alle 9 e mezzo gli operai dello stabilimento di Zwickau, nella Sassonia che si allunga verso la Repubblica Ceca, sono stati i primi a deporre caschi e strumenti e a muoversi in corteo verso il punto di raccolta prestabilito per la manifestazione. Quasi un’ironia della storia: lo sciopero che secondo i dirigenti di IG Metall minaccia di essere il più duro della storia di Volkswagen è iniziato nella città in cui si produceva in massa la Trabant, l’auto simbolo della scomparsa Ddr.

D’altronde  Zwickau è a suo modo una piccola capitale dell’automobile, come Stoccarda, Monaco, Ingolstadt o Wolfsburg. Prima che Walter Ulbricht ci installasse gli stabilimenti della VEB Sachsenring Automobilwerke Zwickau, la società che produceva la Trabant, la città aveva ospitato nella prima metà del secolo scorso officine di Audi e di Horch, quest’ultima storica casa automobilistica fondata nel 1899 da August Horch a Colonia.

Agli operai di Zwickau si sono poi uniti nel corso della giornata quelli di altre sedi, tra cui Wolfsburg, Hannover, Braunschweig, Emden e Chemnitz. Sessantaseimila dipendenti in tutto, secondo le stime. L’obiettivo del sindacato IG Metall era di fermare temporaneamente la produzione in nove dei dieci stabilimenti tedeschi di Volkswagen, con scioperi della durata di circa due ore ripetuti in ogni turno.

Durante una manifestazione a Wolfsburg, sede centrale del colosso automobilistico in crisi, Daniela Cavallo, presidente del Consiglio di fabbrica, ha sottolineato l’importanza di difendere con determinazione i diritti dei lavoratori. “È il momento di lottare e mostrare i denti”, ha gridato dal palco, “Volkswagen deve lavorare con i dipendenti, non contro di loro, soprattutto in un periodo di crisi come questo”.

Cavallo ha criticato aspramente i vertici di VW e di altre aziende che, secondo lei, tentano di ridurre i diritti dei lavoratori con piani di chiusura degli stabilimenti e tagli al personale. “La frustrazione tra i lavoratori è grande”, ha aggiunto la leader sindacale che ha origini italiane, sottolineando come lo sciopero rappresenti un’opportunità per esprimere il malcontento. Il sostegno dei dipendenti alle proteste è stato massiccio.

Secondo fonti sindacali, il fermo di due ore avrebbe comportato la mancata produzione di oltre 1.000 veicoli. L’unico stabilimento escluso dallo sciopero è stato quello di Osnabrück, non coperto dall’accordo salariale interno attualmente in discussione, ma già coinvolto in precedenti scioperi legati al contratto dell’industria metallurgica ed elettrica.

Il terzo round di negoziazioni tra IG Metall e Volkswagen si è concluso giovedì scorso senza un accordo. Ora, con la scadenza del periodo di pace sindacale, gli scioperi sono diventati possibili. Dirk Schulze, responsabile IG Metall per Berlino, Brandeburgo e Sassonia, ha denunciato che VW non ha mostrato disponibilità a trovare una soluzione equa durante le trattative e non ha preso minimamente in considerazione le proposte costruttive che erano giunte da parte sindacale.

Il contro-modello ai piani di riduzione dei costi dell’azienda presentato dal Consiglio di fabbrica e IG Metall prevedeva un risparmio di circa 1,5 miliardi di euro, con la rinuncia da parte dei dipendenti per due anni agli aumenti salariali e a parte del programma di partecipazione agli utili. VW avrebbe dovuto versare il denaro per gli aumenti salariali del 5,5% in un fondo di solidarietà, dal quale sarebbero stati poi pagati gli stipendi degli stabilimenti con meno lavoro. Il sindacato chiedeva anche di evitare licenziamenti e chiusure di stabilimenti, di utilizzare forme di pre-pensionamento per sfoltire la manodopera, e che anche i rappresentanti del Consiglio di amministrazione e gli azionisti rinunciassero a bonus e utili. Tutte proposte che l’azienda ha rispedito al mittente.

Il gruppo automobilistico è alle prese con gravi problemi economici, che anche i sindacalisti non negano, appesantiti dai problemi strutturali dell’industria automobilistica, dalla debolezza della domanda e da errori e omissioni fatti in casa. Nella prima metà di quest’anno, il marchio principale VW ha ottenuto un rendimento di circa il 2% invece del 6,5% previsto. È il risultato peggiore di tutti i marchi del gruppo e la tendenza continua a scendere. La controllata VW Škoda, per fare un esempio esempio, ha un margine operativo due o tre volte superiore. Secondo i dirigenti di VW, alcuni siti tedeschi sono “due volte più costosi della concorrenza”, soprattutto perché il costo del lavoro è troppo alto. I piani di risparmio di Volkswagen includono tra l’altro tagli agli stipendi dei dipendenti del 10%, possibili chiusure di stabilimenti e licenziamenti obbligatori.

Che il confronto azienda-sindacato non sia destinato a ritrovare toni concilianti in tempi brevi è testimoniato dal fatto che, da parte sua, Volkswagen ha reagito al primo giorno di sciopero annunciando di aver adottato misure per ridurre al minimo l’impatto delle interruzioni, garantendo una fornitura di emergenza per i clienti.

Handelsblatt, il principale quotidiano economico tedesco vicino al mondo dell’industria, sposa le strategie dell’azienda e critica la posizione del sindacato: “Cavallo si chiede se gli azionisti debbano continuare a ricevere alte somme mentre VW sta lottando con grandi sfide economiche. Tuttavia, l’impressione è che questa discussione stia distraendo dal vero problema: l’elevato costo del lavoro e il sottoutilizzo della capacità produttiva negli stabilimenti”.

Il quotidiano riepiloga la situazione di VW: la più grande casa automobilistica europea ha un calo delle vendite di circa 500.000 veicoli, che corrisponde alla produzione di due grandi stabilimenti e questa crisi strutturale non può essere risolta cancellando i dividendi. “L’attenzione – sottolinea l’Handelsblatt – si concentra invece sul costo del lavoro, pari a due miliardi di euro, una parte significativa del programma di riduzione dei costi”.

La proposta di Cavallo di finanziare la riduzione dell’orario di lavoro attraverso un fondo futuro è stata respinta dalla direzione. Entrambe le parti devono ora trovare soluzioni praticabili nel quarto round di negoziati, orientandosi sui fatti economici concreti. Il prossimo incontro tra le parti è previsto per il 9 dicembre.

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