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Volkswagen è entrata in una crisi senza fine, ecco perché

Il Green Deal voluto dalla passata Commissione europea ha spinto le Case automobilistiche del Vecchio continente a mettersi in scia alle ambiziose norme sull'elettrificazione, ma le vendite di modelli elettrici sono ben al di sotto delle aspettative, mancano aiuti statali e la concorrenza cinese rischia di spazzare le rivali autoctone. Una tempesta perfetta ben esemplificata dalla crisi di Volkswagen

Nessuno può dire cosa succederà ora a Volkswagen. Perché alle incertezze finanziarie si sono aggiunte quelle di uno sciopero che potrebbe non avere precedenti in Germania. Così almeno promette e minaccia Ig Metall, il potente sindacato di riferimento in ambito metalmeccanico. L’intento è quello di recuperare terreno dopo essere stati spiazzati dalla mossa improvvisa e inattesa di  Oliver Blume che alcune settimane fa aveva rescisso unilateralmente il contratto collettivo siglato con il sindacato e fatto coriandoli dell’accordo che prevedeva la salvaguardia dei posti di lavoro e delle fabbriche tedesche fino al 2029. Tutto ciò adducendo incontestabili “mutate condizioni economiche” dell’azienda.

POSIZIONI INCONCILIABILI

L’ultimo incontro era finito come da copione: i rappresentanti dei lavoratori avevano proposto un piano per risparmiare 1,5 miliardi che prevedeva un taglio dei bonus per i manager e una stretta sulla politica di distribuzione dei dividenti agli azionisti e si sono sentiti rispondere che la dirigenza intende arrivare a correggere la rotta al punto da racimolare 17 miliardi.

Posizioni inconciliabili. Anche perché la cura da cavallo che la dirigenza vuole porre in essere prevede la chiusura di tre impianti in Germania (oltre a quelli già chiusi a Bruxelles e in Cina), il licenziamento di migliaia di lavoratori e la decurtazione del 10 per cento del salario per tutti gli altri, oltre al congelamento per un biennio di scatti d’anzianità e aumenti legati al caro vita.

LA CRISI DI VOLKSWAGEN È INIZIATA NEL ’15?

È una crisi che parte da lontano quella di Volkswagen. A volere trovare una data, potremmo fissarla nell’anno domini 2015, quando quando l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente accusò la multinazionale tedesca di avere progettato i propri motori diesel Turbocharged Direct Injection (Tdi) affinché attivassero i sistemi di controllo delle emissioni solamente durante i test di controllo.

LA CORSA AL GREEN PER FAR DIMENTICARE IL DIESELGATE

La crisi di Volkswagen insomma è iniziata col Dieselgate. Sebbene la Casa di Wolfsburg non fu la sola a truccare i dati (ancora di recente sono state coinvolte diverse aziende nipponiche) e molti osservatori ritengono che vi fossero motivazioni politiche dietro la deflagrazione delle accuse e dello scandalo mediatico che travolsero un unico marchio (lo stesso, guarda caso, finito spesso bersaglio delle critiche di Donald Trump quando parla della necessità di limitare le auto europee presenti negli Usa), il termine Dieselgate si incollò a fuoco sulle carrozzerie Volkswagen, contribuendo a mettere in moto quelle politiche green che hanno portato all’attuale crisi finanziaria del principale gruppo europeo.

EUROPA VASO DI COCCIO TRA USA E CINA

Perché Volkswagen, probabilmente proprio per scrollarsi di dosso l’onta del Dieselgate, è stata tra le Case del Vecchio continente ad aver abbracciato con convinzione le nuove motorizzazioni elettriche: un all-in insidioso come ogni altra scommessa, che ha iniziato a dimostrare tutta l’alea di incertezza e pericolosità non appena sono vacillate le certezze sulle tempistiche della transizione ecologica voluta in Europa a livello politico senza però predisporre sussidi e aiuti paragonabili a quelli messi in campo da Pechino e senza analoghi interventi protezionistici caratteristici dell’Inflation Reduction Act (Ira) del presidente Joe Biden che ha mercanteggiato crediti d’imposta in cambio dell’apertura dai parte dei marchi extra Usa di fabbriche sul suolo americano.

LA CRISI DI VOLKSWAGEN SECONDO JEREMY CLARKSON

Proprio per questo molte Case sono rimaste a guardare, tardando l’elettrificazione dei propri marchi. Non Volkswagen. Una situazione ben descritta dalle colonne del Times, coi modi che gli sono classici, dal giornalista automobilistico britannico Jeremy Clarkson, volto noto di trasmissioni come Top Gear e Grand Tour: “Il problema – ha spiegato l’influente firma del settore – è iniziato quando tutti i politici in Europa hanno deciso che il cambiamento climatico sarebbe stato fermato solo se le classi medie fossero state convinte a guidare auto elettriche. Quindi hanno tutti annunciato che dal 2030 sarebbe stato illegale vendere auto con motori a benzina o diesel”.

“VW si è ritrovata con una gamma di nuove auto elettriche che erano molto costose da acquistare senza che nessuno le volesse per davvero”. Tutto ciò mentre alle porte dell’Europa bussavano ormai le rivali cinesi: “Per un milione di ovvie ragioni le auto elettriche possono essere prodotte in Cina a un prezzo molto più basso rispetto all’Europa. Ora potresti dire che tutti preferirebbero di gran lunga avere una Volkswagen piuttosto che una ‘scatola alimentata a batteria’ di un’azienda chiamata Byd. Ma mi chiedo: se tu vuoi un’auto elettrica significa che non sei realmente interessato alle auto in senso storico. Tutto ciò che vuoi è un prezzo basso e una lunga autonomia. E Byd offre questo”, le conclusioni del giornalista che accusa la dirigenza Volkswagen di aver ridotto in crisi un’azienda florida inseguendo “politici folli”. Clarkson arriva all’oggi: “Volkswagen s’è ritrovata ad aver speso tutti i suoi soldi in auto che sono troppo costose e sono alimentate da una tecnologia che la maggior parte delle persone non desidera davvero. Ibride, sì. Ma elettriche pure? Nah. A meno che non siano davvero economiche”.

TUTTE LE INCOGNITE SUL TAVOLO

Il gruppo guidato da Oliver Blume è rimasto a metà del guado. E in quel guado rischia anche di affogare. Le sue proposte elettriche non hanno un mercato, con l’arrivo dei competitor cinesi nel Vecchio continente l’offerta di Vw sarà del tutto marginale, la possibilità che Donald Trump faccia coriandoli dell’Ira di Biden rischia di vanificare gli investimenti sostenuti negli Usa per avere accesso ai crediti d’imposta e la crisi politica tedesca sta facendo mancare all’azienda e alle altre Case automobilistiche tedesche in crisi (Bmw e Mercedes) la rete di sicurezza degli aiuti pubblici.

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