Quanti sono i lavoratori manifatturieri interessati dai negoziati per il rinnovo del contratto di lavoro in Germania? Quattro milioni. Le associazioni datoriali hanno proposto una durata contrattuale di 27 mesi, con un aumento delle retribuzioni lorde del 3,6%, così distribuite: per i primi nove mesi zero, da luglio 2025 +1,7%, dopo un anno un altro 1,9%.
Il più grande sindacato di settore, la IGMetall, ha rifiutato questa base di trattativa e, dopo il 29 ottobre minaccia scioperi. Prosegue intanto in separata sede il negoziato tra i sindacati e Volkswagen, per ora sospeso sino al 30 ottobre. Butta male anche lì, con l’azienda che non recede dalla sua intenzione di chiudere almeno uno stabilimento.
Nel frattempo, a Parigi il salone dell’auto è diventato il salone della depressione, con le auto europee sotto schiaffo su tutta la linea: vendite in calo, ritardi sull’elettrico, profit warning come se piovesse, chiusure, licenziamenti. Festeggia la Cina (quest’anno il Salone di Parigi ha come slogan “Let’s celebrate”). Infatti è tutta una festa.
Nel 2019 i marchi cinesi in Europa avevano una quota di mercato dell’1% scarso. Quest’anno arriveranno al 12%, ed è solo l’inizio. Questo non vale solo per i segmenti medi, ma anche per il lusso.
A Parigi c’è anche il marchio Hongqi (che dovrebbe significare qualcosa come “bandiera rossa”), nuovo protagonista dell’alta gamma, che presenta una berlina e un SUV di lusso, presto sulle strade in Francia e Germania.
Anche Byd è arrivata a Parigi con modelli di lusso.
Nello sconforto europeo, spiccano le parole del capo di Renault, Luca De Meo. Dopo la visita di Macron, che ha lanciato il sobrio obiettivo di costruire in Francia due milioni di auto all’anno entro il 2030, De Meo ha detto alla stampa che “Occorre trovare un accordo con i cinesi. Non è che i cinesi ci spazzeranno via, lotteremo e reagiremo. Non possiamo chiuderci in un villaggio gallico”. Giusto. Ma i cinesi non sono gli antichi romani.