Il tilt causato non solo al traffico ma anche al sistema industriale statunitense e canadese quando nel 2023 il Rainbow Bridge, il ponte che collega i due Paesi all’altezza delle cascate del Niagara, fu chiuso a causa dell’esplosione di un auto permise di comprendere quanto sono collegati i due sistemi economici. Per lo stesso motivo si comprende perché le proteste sindacali di camionisti e personale ferroviario spesso provino a bloccare gli scambi tra i due Paesi pur di fare più rumore, com’è avvenuto ancora il 22 agosto scorso.
Non deve perciò sorprendere se, sul fronte dei dazi alle auto elettriche cinesi, il Canada stia seguendo a ruota gli Stati Uniti (senza troppa fantasia le misure a sostegno dell’industria sono chiamate Canada’s First), contribuendo ad alzare un ulteriore muro attorno all’offerta automobilistica che proviene da Pechino e dintorni, sempre più isolata. Sempre più arrabbiata
I DAZI DEL CANADA ALLE AUTO CINESI
Una misura, quella canadese, ciclostilata da quella americana: dazi del 100% che, sommati all’aliquota attuale al 6,1%, renderanno di fatto ogni vettura elettrica cinese fuori mercato. I dazi decisi dal Canada a partire da Ottobre prenderanno di mira anche alcune vetture ibride, autobus e furgoni. Mentre, proprio come già avvenuto negli Usa, si attendono analoghe misure protezionistiche su batterie, chip, pannelli solari e minerali critici sulle quali è già stata avviata una consultazione con le imprese.
BOTTA E RISPOSTA TRA OTTAWA E PECHINO
La ministra delle Finanze, Chrystia Freeland, introducendo i dazi che il Canada è pronto a varare in autunno ha dichiarato che “la concorrenza sleale della Cina, intenzionalmente guidata dallo Stato, sta minando la capacità dell’industria canadese di competere”. L’ex ambasciatore canadese in Cina, Guy Saint-Jacques, sorprendendo per realpolitik e quasi a volersi giustificare con Pechino nel tentativo di mitigare la risposta asiatica aveva aggiunto che il Canada “ha dovuto seguire gli Stati Uniti, che assorbono più del 75% delle nostre esportazioni”.
Ma la Cina è comunque furibonda. Già alle prese coi recenti dazi europei (di gran lunga inferiori a quelli Usa e canadesi) ai quali intende contrattaccare con durezza, su un doppio binario (colpendo sia i prodotti caseari in arrivo dal Vecchio continente, sia le auto europee di grossa cilindrata, per lo più tedesche) ha subito fatto sapere che tale mossa protezionistica “danneggerà il commercio e la cooperazione economica tra Cina e Canada, gli interessi dei consumatori e delle imprese canadesi e rallenterà il processo di transizione verde del Canada”.
LA PRINCIPALE AUTO “MADE IN CHINA” IN CANADA? TESLA
E mentre Quattroruote sottolinea la dipendenza del Canada dagli States (“la maggior parte degli 1,5 milioni di veicoli prodotti in Canada ogni anno – quasi tutti in Ontario, tra Windsor e le zone limitrofe, dall’altra parte del confine di stato rispetto a Detroit – vengono esportati proprio negli Usa”), il Sole 24 Ore pone l’accento su un aspetto curioso.
L’import di veicoli elettrici cinesi in Canada è salito a 1,6 miliardi di dollari lo scorso anno, da meno di 100 milioni nel 2022, secondo i dati di Statistics Canada. Il numero di auto in arrivo dalla Cina al porto di Vancouver è balzato – puntualizza il quotidiano di Confindustria – dopo che Tesla ha iniziato a spedirvi dalla sua fabbrica di Shanghai i veicoli Model Y, che sono anche gli unici veicoli elettrici fabbricati in Cina e importati in Canada. Resterà da capire se, al pari di quanto avvenuto in Europa, anche Ottawa imporrà alla Casa automobilistica di Elon Musk aliquote di favore.