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Per Ita Airways meglio Lufthansa o Air France?

Ita Airways: fatti e scenari. L'intervento di Paolo Rubino e Salvatore Santangelo 

E dopo 20 anni di alterne vicende – talvolta tragicomiche – il trasporto aereo nazionale, nella sua ultima versione – Ita Airways – si trova nuovamente di fronte al dilemma: entrare nel portafoglio di Air France oppure di Lufthansa? Quale delle due potrebbe potenzialmente aprire una prospettiva strategica per Ita?  Questa la domanda corretta da porsi.

L’inguaribile idealismo di alcuni, tra cui chi scrive, ha portato, in questo lungo periodo a illudersi, di tanto in tanto, che la ripartenza di un’impresa aerea italiana fosse davvero possibile.

Nel 2001 un serio piano d’investimenti e un’alleanza (all’epoca) paritaria con Air France si sono infranti sulle paure del management, scatenate dall’attacco alle Torri gemelle.

Nel 2008 l’aggregazione necessaria tra Alitalia e Air One non ha avuto la meglio su un infantile e miope “Piano Fenice”.

Nel 2014 le promesse originate dall’ingresso di un potente, e complementare, azionista come Etihad sono state disattese dall’avidità del management australiano e dall’ingenuità del governo italiano.

Nel 2020, l’ingente promessa di dotazione di capitale dell’azionista pubblico non è riuscita a superare la barriera eretta dalla regia Ue che non sembra contemplare la nascita di un quarto operatore continentale autonomo; idea rafforzata dalla carenza di pensiero laterale del management e dalla rassegnazione rabbiosa dell’opinione pubblica nazionale. Oggi, un sano pragmatismo richiede di prendere atto di quanto accaduto e guardare avanti all’unica eterna opzione sul tavolo: Air France o Lufthansa?

I criteri di valutazione utilizzabili sono molteplici, ma non tutti uguali ai fini di una buona scelta. Procedendo, secondo la nostra opinione, da quello più banale verso quello più ricco di opportunità ci troviamo sulla seguente scala: affidarsi all’assistenza di un esperto consulente che, al servizio del management, sviluppi un teorico piano industriale quale termine di confronto per valutare le due proposte dei grandi vettori interessati. Il difetto di questo criterio è che l’esperto consulente teorizzerà un piano standardizzato, guidato dal pensiero di replicare la cosiddetta “industry best practice”, quindi privo di qualsiasi valore aggiunto innovativo per il futuro di un vettore sia pure inquadrato nel portafoglio di un soggetto maggiore. Inoltre, un piano privo di prospettive dal momento che, una volta entrato in quel portafoglio, il piano reale sarà quello dettato dagli interessi industriali di rango superiore del nuovo proprietario. In alternativa, affidarsi a una valutazione meramente finanziaria che proponga una decisione guidata dal valore attuale netto dei flussi reddituali futuri promessi dai candidati nuovi proprietari.

Certamente, un criterio più pratico del precedente, benché ingenuo dal momento che la redditività di una compagnia aerea è fin troppo condizionata dal ciclo economico dietro il quale sempre si nasconde il management. Soprattutto, l’esito reddituale della gestione è un abile gioco di prestigio che soltanto un accorto e presente azionista sarebbe in grado di controllare. Né si può omettere che il cinico criterio finanziario, opportuno per l’investitore asettico, sia geneticamente in conflitto con l’interesse strategico industriale che pure dovrebbe guidare l’attuale proprietario, il Governo italiano. È, infatti, evidente che la massimizzazione della remunerazione del capitale investito facilmente porterebbe a sopprimere rami di attività industriale che necessitano invece di riavviamento, tipicamente quelli da e per l’Italia, rispetto a quelli ben più avviati, mai davvero interrotti, da e per Francia o Germania.

Questo criterio è certamente il migliore per soggetti come Blackstone o KKR. Lo è anche per il nostro Mef? All’apice della funzionalità il criterio che valuta l’effettivo peso dell’azionista nazionale nel governo futuro della società. Ma qui la domanda da porsi riguarda proprio quale sarà il reale soggetto societario futuro sul cui governo riservarsi una quota di potere decisionale. Certamente la Ita Airways manterrà lo status di società, seppure a ben guardare sarà una soggettività giuridica meramente formale poiché le decisioni strategiche, flotta, rete dei collegamenti, basi di armamento, obiettivi e modalità di approvvigionamento finanziario degli investimenti saranno assunte dalla società controllante.

Pertanto, il vero focus per il governo futuro dell’impresa non sarà nella Ita Airways, sostanzialmente uno stabilimento di produzione, ma nel suo soggetto controllante. Ora l’opzione Lufthansa prevede che il soggetto controllante sia, in realtà, la MSC SA di Gianluigi Aponte, soggetto di altissimo rango dell’industria mondiale dei trasporti e logistica con un tracking di eccellenza delle sue performance e, presumibilmente, con una strategia più riguardosa dell’interesse nazionale italiano. Sarebbe opportuno, dunque, che il criterio di scelta tra Air France e Lufthansa tenesse in conto prioritario la possibilità di orientare il futuro industriale di Ita Airways in accordo con quello che, sulla carta, potrebbe essere il vero ultimo decision maker. Le competenze industriali di MSC sono un assunto dimostrato dalla storia di quest’impresa e la naturale integrazione intermodale, sia nel campo passeggeri che merci, tra la piccola Ita e il gigante MSC rappresentano una prospettiva strategica ben più intrigante che la scolastica riproposizione di un ruolo Ita nell’obsoleto modello hub&spoke di un vettore maggiore che il consulente esperto finirebbe per indicare. Purtroppo, però, sembra che al momento il primo pedissequo criterio sia quello messo in campo.

Qui speriamo davvero di sbagliarci.

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