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Noli Marittimi

Noli marittimi proibitivi, tutti i problemi per l’export italiano

Prima la pandemia e poi la guerra, aumentano (Prima la pandemia e poi la guerra: aumentano (ancora) i noli marittimi e a farne le spese è il made in Italy

 

“I prodotti italiani sono fuori mercato per il prezzo del trasporto”.

A denunciare la situazione ai danni del made in Italy sul Sole24Ore è Lorenzo Zurino, presidente del Forum italiano dell’export.

L’aumento dei noli marittimi, ossia i prezzi da pagare per trasportare un container da una parte all’altra del mondo, va infatti dal 400 al 500% per le rotte asiatiche e dal 30 al 40% per quelle Nord-Sud e a pagarne le conseguenze sono, tra gli altri, i prodotti italiani che vengono rimpiazzati da altri meno costosi.

L’AVVENTO DELLA GUERRA

L’impennata dei noli marittimi, iniziata con la pandemia e ora esacerbata dalla guerra in Ucraina, secondo alcune grandi compagnie e imprese di spedizioni, riferisce il quotidiano economico, era destinata a una normalizzazione nel secondo semestre del 2022 ma il conflitto in corso nel cuore dell’Europa non lascia più ben sperare, soprattutto gli spedizionieri italiani. Lo stesso Zurino prevede che con la guerra ci sia “il rischio che le speculazioni aumentino”.

“In questi giorni siamo tutti, giustamente, attenti alla guerra che ha portato una perdita secca, nell’export del made in Italy, di 7,7 miliardi in Russia e circa 3,5 miliardi in Ucraina”, ha detto l’imprenditore, il quale ha aggiunto che “bisogna, però, anche rilevare che si sta registrando un costo talmente alto del nolo container, iniziato prima del conflitto, che oggi i nostri prodotti sono fuori mercato”.

QUANTO SONO AUMENTATI I NOLI MARITTIMI

I prezzi dei container, si legge sul Sole24Ore, sono infatti aumentati da 10 a 19 mila dollari per l’Australia e da 2 a 8 mila dollari per gli Stati Uniti. Anche il World Container Index di Drewry, che misura l’andamento dei costi sostenuti per un nolo, indica da tempo i rialzi record che si susseguono di anno in anno.

“Avevo un cliente molto grande in Australia – racconta Zurino – che comprava olio d’oliva 100% italiano, e che adesso non lo compra più perché il costo della rata di nolo ha superato i 19 mila euro sulla tratta Italia-Australia, mentre nel 2021 era a 10 mila”.

“Analogamente – prosegue – la rata che si pagava dall’Italia a New York, che andava da 1.750 a 2 mila euro a contenitore, oggi è salita 7.400-8mila euro per arrivare ora, nella peak season, addirittura a 8.400 euro. Tra l’altro si paga moltissimo e non è detto che il trasporto sia diretto”.

TRASPORTI CARISSIMI E IN RITARDO

Già, perché come ha spiegato Zurino, oltre ai forti aumenti, l’export è colpito anche da gravi ritardi che scoraggiano i clienti stranieri. “Il transit time che prima durava 20 giorni, può arrivare a picchi di 47. Insomma, si paga il quadruplo e si ha anche un servizio peggiore: oltre al danno la beffa”, denuncia Zurino che è fondatore e Ceo di The One Company, prima azienda esportatrice di food&beverage negli Stati Uniti, Israele e Australia.

La causa di questo nuovo inconveniente, secondo l’imprenditore, è dovuta al fatto che “molte navi sono state distolte dal Mediterraneo e impiegate sulle rotte più profittevoli come quelle Cina-Usa”, mentre su quelle Ue-Usa e Ue-Australia, fa notare il Sole24Ore, le compagnie hanno alzato le rate di nolo.

I DATI DI SRM-INTESA SANPAOLO

Anche i dati elaborati da Srm, il Centro Studi collegato al gruppo Intesa Sanpaolo, mostrano quanto siano cambiati (in peggio) dal 2019 al 2021 sia i prezzi dei container che i tempi di consegna:

Se nel 2019 occorrevano 39 giorni ad una nave portacontainer per arrivare dalla Cina agli Stati Uniti, nel 2020 il tempo di percorrenza è salito a 49 giorni e nel 2021 a 68.

Poi spostare un container, nel 2019, costava in media 1.421 dollari, nel 2020 2.171 e nel 2021 7.556.

L’ESEMPIO DI SUEZ E I DATI SU IMPORT-EXPORT DELL’ITALIA

L’episodio della Ever Given, sottolinea il report di Srm, è significativo per capire quanto sia debole il sistema logistico in generale: 6 mesi di disagi per 6 giorni di blocco della nave portacontainer nel canale di Suez.

Oltre 80 miliardi di import ed export italiano passano per il varco marittimo ogni anno, circa il 10% del nostro interscambio, riferisce lo studio, e 7 dei 10 maggiori partner marittimi italiani sono al di là di Suez o in prossimità. Per la Cina, invece, 6 dei suoi 10 partner strategici non si trovano oltre il varco.

L’import-export del nostro Paese, secondo Srm, avviene per il 52% via terra (322 miliardi di euro), per il 33% via mare (206,3 miliardi), per il 13% via aerea (78,5 miliardi) e per il 2% attraverso la via ferroviaria (15 miliardi).

I DATI DEL TRASPORTO MARITTIMO IN ITALIA

Il report riferisce inoltre che il traffico merci italiano dell’economia marittima è aumentato dell’8,4% sul 2020 (482 milioni di tonnellate), così come le imprese della filiera dello shipping hanno segnato un +3,5% sul 2020 (12.628), e il valore aggiunto dell’economia del mare è pari a 47,5 miliardi di euro.

COSA SI PUÒ FARE

Per Zurino l’Italia potrebbe intervenire sull’aumento dei noli marittimi, per esempio, parlando all’Autorità garante della concorrenza “per capire se c’è in atto, sui noli, una speculazione da parte delle grandi compagnie di navigazione […] vogliamo chiarire se l’aumento dei noli è dettato da una crescita dei costi effettivi o se c’è una volontà delle aziende che trasportano di guadagnare di più”.

Secondo l’imprenditore, inoltre, la questione dovrebbe essere affrontata a Bruxelles perché “non c’è più motivo di prorogare ulteriormente la possibilità concessa dall’Ue alle compagnie di navigazione di unirsi in consorzi temporanei d’impresa, per abbassare i costi fissi e avere delle fiscalità di vantaggio”.

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